Le elezioni che hanno sorpreso e spesso sconvolto il mondo

A due giorni dalle elezioni presidenziali Usa difficile parlare d’altro, anche se, in questa tradizionale rubrica della domenica, l’attualità la guardiamo all’incontrario: «C’era una volta». E anche nel passato furono guai grossi, come quello che si prospetta adesso negli Stati Uniti dove si viaggia verso un periglioso ‘testa a testa’ con Trump già pronto a non riconoscere una vittoria di Harris. Nei tribunali e nelle piazze. E questo ci posta a rivangare la storia partendo dal peggio.

Quel problematico austriaco naturalizzato tedesco

Nel corso degli anni Venti del secolo scorso in Germania il piccolo partito di estrema destra guidato da Adolf Hitler non aveva mai riscosso grandi successi elettorali, ma dopo le drammatiche conseguenze della crisi del 1929 le condizioni politiche ed economiche cambiarono radicalmente. La prima sorpresa avvenne alle elezioni del luglio 1932: il partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi ottenne una percentuale superiore al 35%, entrando soprattutto nel gioco delle forze politiche e industriali che concorrevano a formare il governo, ma non si trattava ancora del potere assoluto vero e proprio.
Dopo l’incendio del Reichstag, sede del parlamento tedesco, il 27 febbraio 1933, si svolsero nuove elezioni a marzo e in questa occasione il partito di Hitler superò invece il 40%, indubbiamente facendo ricorso a brutali pressioni e a un clima di intimidazione mai visto in Germania. Nonostante fosse stato subito approvato a schiacciante maggioranza dal nuovo parlamento un decreto che gli conferiva i ‘pieni poteri’, solamente nel novembre del 1933 dopo un’altra tornata elettorale – dalla quale però erano stati banditi tutti gli altri partiti e che si svolse su ‘lista unica’ – Hitler ottenne la quasi totalità dei voti, proclamandosi contemporaneamente «Führer und Reichkanzler», ossia capo dello stato e cancelliere del Reich.

Dall’altra parte dell’Atlantico

Il democratico Franklin Delano Roosevelt, che durante la grande depressione era stato governatore dello stato di New York e si era distinto per numerose proposte per la ripresa economica e al sostegno delle classi popolari, decise di candidarsi alle primarie del partito per le elezioni presidenziali del novembre 1932.
Rispetto il candidato repubblicano Herbert Hoover, presidente uscente e relativamente screditato presso l’opinione pubblica molto scettica sulle sue scelte economiche, Roosevelt apparve subito come il candidato favorito, anche grazie alla sua abilità nello scegliere un candidato texano alla vicepresidenza che godeva di quasi altrettanta popolarità.
Il vero successo a sorpresa fu tuttavia il risultato travolgente delle elezioni che in un certo senso cambiò la geografia elettorale degli Stati Uniti fino agli anni Quaranta. Roosevelt ottenne infatti quasi il 58% dei voti contro un risicato 40% del suo avversario, ma – per il complicato sistema americano dei rappresentanti elettorali stato per stato – alla fine si ebbero quattrocento settantadue grandi elettori a su favore contro cinquantanove a favore di Hoover.
Un’altra grande sorpresa, tuttavia non elettorale, sarebbe stata anche che – nel corso della Seconda Guerra mondiale – Roosevelt avrebbe poi guidato una coalizione contro un oscuro politico tedesco che negli stessi mesi stava creando una dittatura sanguinaria.

Vincitore in guerra, sconfitto in patria

L’8 maggio 1945, a Londra, il primo ministro britannico Winston Churchill si affacciò dal balcone di Buckingham Palace assieme alla famiglia reale per annunciare ad una folla entusiasta la vittoria degli alleati e la fine della guerra: mai era accaduto in precedenza che un non appartenente alla famiglia reale fosse ammesso in quel luogo simbolico e sembrò anche che la gloria del politico fosse ormai destinata a perpetuarsi ancora alla guida dell’impero britannico.
Il 23 maggio fu però costretto a dimettersi per volontà dei ministri laburisti che non intendevano proseguire il percorso della coalizione di governo. Le elezioni generali furono fissate per il 5 luglio con una certa aspettativa, anche perché in Gran Bretagna non si votava più dal 1935. Votarono anche gli elettori lontani dall’Inghilterra, nella stragrande maggioranza militari sparsi dall’Europa all’Estremo Oriente, e risultati furono definitivi solo il 26 luglio: a sorpresa vinsero i laburisti con un ampio margine.
Churchill tuttavia continuò ad essere presente sulla scena politica inglese per almeno un decennio, prima come capo dell’opposizione e tornando infine a Downing Street nel 1951. A chi una volta gli fece notare che il comportamento degli elettori si poteva definire quantomeno ‘ingrato’, rispose semplicemente che non era giusto: «Li capisco, ne hanno passate tante».

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