Secondo Rutte, si tratta di una «significativa escalation» nella guerra. Ma anche di un segnale di «disperazione» del Cremlino, in difficoltà ad avvicendare sul terreno le proprie truppe, aggiungendo che il dispiegamento è un segno della «crescente disperazione» del presidente russo Vladimir Putin che non sarebbe in grado di sostenere l’offensiva senza il supporto di truppe straniere. «Più di 600.000 soldati russi sono stati uccisi o feriti», ha detto Rutte.
Tuttavia, Mosca continua a guadagnare spazio costantemente nell’Ucraina orientale, dove i soldati nord coreani andranno a combattere forse nel futuro. Pyongyang avrebbe inviato anche missili balistici e milioni di proiettili d’artiglieria pesante. La presenza di forze nordcoreane in Russia alimenta inoltre tensioni geopolitiche nella penisola coreana e nel più ampio Indo-Pacifico, dato che Seul ha ripetutamente messo in guardia dal coinvolgimento nel conflitto del suo vicino settentrionale. «L’approfondimento della cooperazione tra Russia e Corea del Nord è una minaccia per la sicurezza indo-pacifica ed euro-atlantica», ha commentato ancora Rutte.
Mosca e Pyongyang hanno intensificato la loro cooperazione militare dall’inizio dell’invasione russa, ma lo spostamento di truppe nordcoreane segna una rischiosa evoluzione. C’è apprensione per il possibile trasferimento di know-how militare russo – compresi componenti di armi nucleari – al regime di Pyongyang.
La discesa in campo della Corea del Nord è un fatto la cui portata non è ancora valutata come si dovrebbe, se si considera una sorta di possibile effetto domino che sta già interessando l’intera Asia. Non a caso, il governo della Sud Corea ha espresso una vibrata protesta, convocando l’ambasciatore russo a Seul, prima ancora che la notizia dell’invio di alcune migliaia di soldati nord coreani fosse sostanzialmente confermata. Se è vero che la Corea del Nord da tempo contribuisce allo sforzo bellico della Russia, l’invio di truppe sul terreno potrebbe avere conseguenze catastrofiche, se Kiev fosse incoraggiata a colpire anche in territorio russo, come si sostiene in alcune capitali europee.
L’atteggiamento della Corea del Nord va inoltre relazionato con quanto si sta muovendo nelle capitali asiatiche, dalle Filippine all’Australia. Si sa, ad esempio, che rappresentanti della Corea del Sud, dell’Australia e del Giappone avrebbero partecipato recentemente a riunioni della Nato. E la Corea del Sud si è impegnata a sostenere l’Ucraina. Questi sviluppi in ambito militare sono in atto parallelamente a un’evoluzione dei rapporti economici e strategici, come si è visto al recente vertice dei Brics. A Kazan, si è vista profilarsi – sia pure fra molte contraddizioni – una più allargata alleanza anti occidentale che ha come obiettivo prioritario quello di rompere la supremazia del dollaro negli scambi commerciali. Per fortuna dell’Occidente, dei Brics fanno parte anche Paesi di culture diverse che continuano a coltivare buone relazioni con Europa e Stati Uniti.
Il protrarsi insensato della guerra in Ucraina, oltre al conflitto in Medio oriente, non farà che rimescolare le carte fra sistemi e alleanze rivali, complicando sempre più il ruolo delle istituzioni internazionali. Russia e Cina stanno giocando pesantemente su tutti i fronti. Moldavia e Georgia denunciano pesanti interferenze (da parte russa) su elezioni decisive per definire la loro collocazione futura. Interferenze che contrastano quelle di segno opposto, tese ad allargare l’influenza occidentale e condurre per mano questi Paesi nella sfera della Ue e della Nato.
Occorre ricordare la recente esercitazione congiunta Russia e Cina – la più muscolosa mai vista prima – che ha coinvolto centinaia di navi e aerei e circa centomila soldati. «Ocean 2024» è stata organizzata sulla scia di una cooperazione militare sempre più rafforzata ed estesa anche all’Iran. Putin e Xi sono spinti dalla visione condivisa secondo cui l’Occidente mira a sopprimere i loro interessi fondamentali. Per Putin, queste preoccupazioni si riflettono nell’espansione ad Est della Nato, che dovrebbe estendersi all’Ucraina, mentre Xi rivendica i diritti della nazione cinese su Taiwan e punta al dominio del mar cinese meridionale.
Stiamo assistendo a prove geopolitiche dagli sviluppi imprevedibili. I soldati nord coreani sono solo un’avvisaglia, mentre l’Onu e le altre istituzioni internazionali sono sempre meno influenti e meno credibili. Interrogativi che rimandano al 5 novembre, quando si comprenderà il ruolo che Washington vorrà giocare in troppe partite aperte.
Ha scritto in un saggio per l’Economist il famoso politologo Yuval Harari: «Quando le regole internazionali diventano prive di significato, i Paesi cercano sicurezza negli armamenti e nelle alleanze militari. Le alleanze militari, inoltre, tendono ad ampliare le disuguaglianze. Gli Stati deboli diventano facili prede. Quando i blocchi militarizzati si diffondono nel mondo, le rotte commerciali si restringono e i poveri pagano il prezzo più alto. E con l’aumento delle tensioni tra i blocchi militarizzati, cresce la possibilità che una piccola scintilla in un angolo remoto del mondo possa innescare una conflagrazione globale. Le esperienze passate come la seconda guerra mondiale e la guerra fredda ci hanno insegnato che in un conflitto globale sono i deboli a soffrire in modo sproporzionato. La guerra fredda poteva essere fredda a Berlino, ma era un inferno rovente in Indonesia. Nel 1965-66 tra 500.000 e 1 milione di indonesiani furono uccisi in massacri causati dalle tensioni tra comunisti e anticomunisti».
«L’aumento delle tensioni compromette anche la possibilità di raggiungere accordi per limitare la corsa agli armamenti. La guerra con i droni, in particolare, sta avanzando rapidamente e il mondo potrebbe presto vedere sciami di droni completamente autonomi combattere tra loro nel cielo dell’Ucraina e uccidere migliaia di persone a terra. I robot assassini stanno arrivando, ma gli esseri umani sono paralizzati dal disaccordo. Se non si porta presto la pace in Ucraina, è probabile che tutti soffrano, anche se vivono a migliaia di chilometri da Kiev e pensano che la battaglia non li riguardi».