C’è una parte di magistratura ‘politicizzata’ decisa a mettere i bastoni tra le ruote al governo? Dubbi. Sospetti. Polemiche. La tensione sale ora dopo ora e in questo clima l’esecutivo prepara il decreto legge con cui, nel Consiglio dei ministri in cerca di soluzioni. programmato intende porre soluzione al “problema”. L’Ue: ‘Le misure italiane siano conformi al diritto europeo’. Portavoce della Commissione: ‘Lavoriamo a lista di Paesi sicuri’. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia. “Sappiamo che un regolamento dell’Unione europea renderà questa materia più flessibile, ma entrerà in vigore nel 2026. Oggi dobbiamo applicare la direttiva che c’è. Per come lo vedo io, non è uno scontro con la magistratura italiana, ma con le istituzioni europee”.
Il governo difende il piano Albania. Spiega che il trattato funziona. Molto è però ancora da capire. Quali saranno i punti fermi della risposta? L’idea è rendere norma primaria con decreto l’indicazione dei Paesi sicuri, quelli verso cui è più facile disporre i rimpatri. Si andrebbero così a toccare due elementi della sentenza del Tribunale di Roma, ‘abnorme’ per il guardasigilli Carlo Nordio e ineccepibile per le l’Unione delle camere penali, secondo cui i giudici si sono «limitati ad applicare la normativa europea di riferimento, in linea con le indicazioni vincolanti della Corte di Giustizia dell’Unione europea». E il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, denuncia «toni di aggressione al lavoro giudiziario che non hanno precedenti».
Il Quirinale in questo momento segue l’evolversi della situazione ma, come sempre, si esprime sugli atti. Al Colle si attende di conoscere il contenuto del decreto legge e – come si evince dall’invito alla prudenza di Sergio Mattarella nel discorso a Bari – l’attenzione va al di là dello scontro fra governo e magistrati, anche ai risvolti europei della questione. Tanto più perché al centro c’è il tema della gestione delle migrazioni, in cima all’agenda della nuova Commissione Ue. Con Tajani e re-inciampa sulla questione base di diritto e di Costituzione sulla priorità tra legge e scelte dell’esecutivo.
La leader del Pd Elly Schlein: «Meloni ci regala la sua dose di vittimismo quotidiano». Matteo Renzi: «Sul centro migranti in Albania, Giorgia Meloni è indifendibile. Ha buttato via un miliardo di euro senza logica. Ha tolto soldi agli infermieri, agli operai, ai Carabinieri per fare uno spot». Sui magistrati che attaccano la premier in chat, «fanno il gioco della Meloni che così può fare la vittima anziché rispondere del suo spreco di soldi pubblici». Parla anche il presidente del Senato La Russa: «La destra, che vuole governare, vorrebbe rispetto per le prerogative della politica. Insieme, in modo concorde – maggioranza, opposizione, magistrati – dobbiamo perimetrare questi ambiti. La lite non funziona».
La lotta del mugnaio Arnold contro il potere
La storia è narrata nel libro ‘Il Regno di Federico di Prussia’, detto il Grande scritto da Enrico Broglio nel 1880, politico italiano che fu Ministro dell’Istruzione e poi dell’Agricoltura e dell’Industria. Broglio racconta la storia del mugnaio Arnold di Sans-Souci e della sua lotta per ottenere giustizia contro i soprusi di un nobile durante il regno di Federico. Il mulino dove lavorava Arnold era stato affittato alla sua famiglia da generazioni ed era di proprietà del Conte di Schietta. Un giorno del 1770 il Barone Von Gersdorf volle costruirsi una peschiera e deviò gran parte dell’acqua che alimentava il mulino. A causa di questo, il mugnaio non riuscì più a macinare il grano e a pagare l’affitto per il mulino.
“Ci sarà pure un giudice a Berlino”
Disperato si rivolse avarie autorità, ma esse erano state corrotte e diedero ragione al barone. Arnold decise di rivolgersi al giudice supremo, il sovrano Federico il Grande, andando fino a Berlino. Esaminando il caso, Federico diede ragione al mugnaio e incarcerò i corrotti. Da questa vicenda si diffuse la famosa frase «ci sarà pure un giudice a Berlino». Da quel momento l’espressione è usata per esprimere la speranza in una giustizia imparziale su cui può contare anche l’uomo comune. Il prevalere della legge sul potere comunque espresso.