Non solo silenzio complice. La Germania, ha applicato le leggi più repressive contro le proteste a favore della Palestina senza che nessun vicino dell’Unione si ribellasse. Lo riporta un’inchiesta dell’Economist, secondo cui l’Italia è, tra i cinque Paesi europei analizzati, quello dove è più bassa la percentuale di chi ha un’opinione positiva di Israele: appena il 7%. Tuttavia, a frenare qualsiasi iniziativa c’è un fattore potente in tutta Europa: l’ostilità verso l’Islam, sottolinea Paolo Mossetti su InsideOver.
La penisola, nota il settimanale inglese analizzando i sondaggi di YouGov, è la nazione dove il divario tra l’opinione pubblica e la linea dell’establishment politico e giornalistico è più marcato. L’Economist ha quindi intervistato la politologa Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di Roma. “La rabbia contro Israele produce effetti politici limitati: un’opinione pubblica contraria a Israele, ma non determina il voto”, afferma Tocci. Sia il Partito Democratico che Fratelli d’Italia hanno una base molto più ostile verso Israele rispetto alle loro dirigenze, anche se, ultimamente, i leader sono diventati più critici.
Ma non bisogna farsi illusioni, avverte Tocci. “Il partito di governo (Meloni), in testa ai sondaggi da oltre due anni, condivide un’ideologia in fondo non molto diversa da quella del Likud di Netanyahu, e il conflitto a Gaza nella lotta epica tra l’Occidente e il mondo musulmano”. Uno scontro che anche nelle nostre città, descritte da influencer sovranisti come ‘campi di battaglia’. Jolly a sorpresa il Movimento cinque stelle che, diversamente dal grillismo delle origini, si è collocato a sinistra anche sulla questione palestinese, “ma del grillismo delle origini ha pure ereditato l’ubiquità politico-valoriale, in equilibrio tra Harris e Trump”.
La distanza tra elettori e leader sul tema di Israele non è una caratteristica solo europea: gli amministratori dell’immagine pubblica del Presidente degli Stati Uniti hanno probabilmente capito fin da subito che la maggior parte degli americani non voleva essere complice del governo Netanyahu e del fanatismo dei suoi coloni. Ma invece di prendere una posizione decisa sulla guerra, hanno diffuso storie sull’impotenza presunta di Biden. Lo scopo? Tranquillizzare la base democratica. Sull’incerta Harris, qualche problema in più.
Infine, avverte Paolo Mossetti, non va dimenticato che nella zona euro, la sopravvivenza politica dei governi dipende in buona parte dalla benevolenza di Bruxelles, attualmente guidata da una Commissione salda a destra (piccole eccezioni con qualche nomina green-friendly). La presidente Von Der Leyen si è affrettata a condannare gli attacchi iraniani su Israele, ma si è ben guardata dal farlo quando Israele ha ridotto Gaza in macerie o ha attaccato il Libano, dando a Netanyahu sostanzialmente carta bianca vontro l’Iran e sconcertando molte diplomazie.
Ecco perché anche i partiti nazional-populisti di destra, che teoricamente dovrebbero promuovere una visione alternativa all’egemonia statunitense nel Mediterraneo e all’escalation in Medio Oriente, una volta al governo – o quando pensano di poterci arrivare – tendono a riallinearsi rapidamente con l’establishment nel Consiglio nel Parlamento europeo. Così come Giorgia Meloni, ci si può aspettare che anche l’estrema destra tedesca e quella austriaca, in forte ascesa, allineino il loro eventuale governo con la linea atlantista e filo-israeliana di Von Der Leyen.
Anche in Francia e in Spagna, Marine Le Pen e Vox disposti ad abbandonare le posizioni anti-americane in favore della metafora di Israele come diga che protegge l’Occidente dalla barbarie.
Un processo di “melonizzazione” in nome della lotta all’Islam, non solo quello radicale. In mancanza di un’alternativa socialdemocratica fondata sul multilateralismo e di una piattaforma di convivenza mediterranea dove non vinca la forza bruta delle armi, anche quando gli europei diranno di essere stanchi di Israele e delle sue politiche, difficilmente riusciranno a dirlo con il voto.