Il 28 maggio 1948, il consiglio di sicurezza delle Nazioni unite decide la ‘United Nations Truce Supervision Organization’ schiarata in Palestina alla conclusione del primo conflitto arabo-israeliano per l’osservazione delle forze in campo e il tentativo di mediazione nel rispetto della neutralità.
L’avvio della missione fu funestato da un grave episodio che avvenne il 17 settembre producendo eco in tutto il mondo: lo svedese Folke Bernadotte, già a capo della Croce rossa svedese e mediatore ufficiale, e il francese colonnello André P. Serot caddero vittime di estremisti sionisti avvenuto nella parte orientale di Gerusalemme sotto il controllo israeliano. Serot era uno dei responsabili militari della missione al comando della delegazione francese ed era stato un valoroso combattente della resistenza tra le file gaulliste.
Non si trattò comunque delle prime vittime delle Nazioni Unite: già il 6 luglio era saltato in aria per l’esplosione di una mina nei pressi di una postazione israeliana un altro francese: René de Labarrière. Nel 1998 è stato ricordato come il primo caduto delle operazioni di pace, ma purtroppo ne seguirono numerosissimi altri soprattutto in Medio Oriente.
UNTSO è ancora attiva: nonostante siano trascorsi più di settantacinque anni dalla sua istituzione, non sono cessati i conflitti nell’area e la missione continua in diverse situazioni fornendo personale per altre attività internazionali a illusione della pace. E quando scoppiò la guerra di Yom Kippur il 6 ottobre 1973 una delle prime vittime colpita da un razzo in un posto di osservazione nel Sinai fu il capitano italiano Carlo Olivieri.
Tra i numerosi interventi delle Nazioni Unite, anche per il doloroso coinvolgimento del nostro paese, si deve ricordare la missione Onu in Congo, ONUC, attiva dal luglio 1960 al giugno 1964. Tra l’11 e il 12 novembre 1961, gli equipaggi di due aerei da trasporto italiani che avevano portato rifornimenti alle truppe malesi furono trucidati dalle milizie di una fazione nella cittadina di Kindu. Da una ricostruzione a posteriori l’arrivo degli aerei italiani era stato interpretato come un tentativo di incursione di paracadutisti della fazione avversa: dopo un primo scontro a fuoco, nel quale aveva perso la vita il medico, i dodici italiani rimasti erano stati incarcerati e successivamente uccisi dai ribelli.
Anche dopo il tragico epilogo, sugli italiani furono lanciate accuse gravi, come quella di aver rifornito di armi i ribelli del Katanga. In complesso però, oltre all’eccidio, a causa di incidenti aerei e di un’imboscata isolata, le vittime italiane nell’operazione ONUC furono ventidue. La vicenda di Kindu divise l’opinione pubblica tra i favorevoli e i contrari alle missioni di pace, e la politica escluse a lungo la partecipazione a missioni internazionali fino agli anni Ottanta, quando un contingente italiano fu inviato in Libano nel 1983 dopo la sanguinosa guerra civile.
Seguì la partecipazione italiana ad altre missioni internazionali, come nel caso della Bosnia e del Kosovo: in questo caso il comando delle operazioni non dipendeva direttamente dall’organizzazione internazionale, ma dalla Nato che agiva su mandato del Palazzo di vetro.
Benché le statistiche non possono mai descrivere la situazione sul campo, per capire il coinvolgimento dei contingenti Onu nei conflitti locali basta ricordare il biennio 2018-2019 nel solo continente africano: in Mali si sono verificati ventidue attacchi alle truppe ONU che hanno causato la morte di ventiquattro peace-keepers e il ferimento di ottantacinque; nella Repubblica Centroafricana diciannove attacchi hanno causato sette morti e settanta feriti e in Congo tredici attacchi hanno causato otto morti e ventisette feriti.
Nel 2018, quando si concluse la missione in Liberia iniziata quindici anni prima con il Paese nel caos, il principale risultato ottenuto fu la pacificazione del paese ottenuta attraverso tre tornate elettorali svolte regolarmente.