Germania in recessione ed Europa con coliche Von der Leyen

Partiamo dando i numeri: 120-0,2-65. Le percentuali percentuali dalla crisi tedesca. 120 % è l’aumento medio del costo del gas che oggi la Germania paga a fornitori come Stati Uniti e Qatar dopo l’interruzione delle forniture dalla Russia. 0,2% è il calo del Pil previsto nel 2024 e che certificherà il secondo anno consecutivo di recessione. 65% è il livello del debito pubblico sul Pil della Germania. Poi Ursula von der Leyen Ue a basso indice di gradimento.

Caccia all’assassino della Germania prospera

Economisti e uffici studi delle maggiori banche stanno sfornando rapporti sui motivi della crisi. Una combinazione di  fattori ciclici e  strutturali come decarbonizzazione, digitalizzazione, cambiamenti demografici e il dato più evidente che è quello geopolitico. Lo shock  che l’industria tedesca ha subito dalla chiusura dei rubinetti del gas russo è stato fatale. La crisi tedesca parte da lì. Solo in seguito a questo colpo si è  aggiunta la guerra dei dazi di Usa-Ue contro la Cina, e l’industria automobilistica tedesca principale’ vittima’. Una guerra commerciale che non avrebbe assunto questa intensità se non fosse inziata la guerra armata in Ucraina.

Il 9 ottobre scorso il ministro tedesco dell’economia Robert Habeck ha certificato la recessione e presentato un pacchetto per la crescita,  49 misure per uscire dalla crisi e ha fissato la ripresa nel 2025. Le ricette del governo si scontrano però con le tendenze dell’industria tedesca, sempre meno in linea con le politiche nazionali e tanto meno con quello europee.

Interessi nazionali e inciampi politici occidentali

Le aziende tedesche, anche le partecipate dallo Stato, si rivolgono sempre più ad acquirenti stranieri per resistere alla tempesta che le ha colpite e diventare quindi obiettivi interessanti per le acquisizioni. Deutsche Bahn ha recentemente accettato di vendere la sua sussidiaria logistica Schenker al rivale danese Dsv per circa 14 miliardi di euro. Il gigante di servizi energetici Techem è stato venduto al gestore patrimoniale statunitense TPG. Commerzbank sta per arrivare tra le braccia di Unicredit. E poi c’è l’industria automobilistica che con Mercedes e Wolkswagen non ha alcuna intenzione di mollare il mercato cinese.

Sul debito Francia e Italia peggio

La Germania è la più grande industria europea e la crisi tedesca non può che essere al centro di tutte le questioni che animano il futuro della UE. E così arriviamo al terzo numero percentuale, 65%, che può aiutarci a vedere, in questo caso, la via d’uscita. Per capirne il valore bisogna confrontarlo con le altre due principali economie europee: Francia, il cui rapporto debito-Pil è al 112% e l’Italia che è al 138%. Economie con il doppio del debito pubblico e legate mani e piedi al differenziale con la Germania, il fatidico spread.

Debito, bomba a orolgeria Ue

La crisi del debito pubblico è zavorra per il rilancio economico di Francia e Italia e una vera bomba a orologeria per tutta la UE. Ma non per la Germania che ha il vantaggio di avere ampio spazio finanziario per riformulare la sua politica economica di rilancio. Le critiche alle politiche di bilancio tedesco, compresi i vincoli di bilancio in costituzione, sono fondate. La Germania dovrà cambiare alcune regole, ma lo ‘spirito animale’ dei mercati finanziari risponde a criteri contabili molto semplici e che si riducono spesso al colore dei bilanci: rosso o nero. Il rilancio della Germania partirà dai suoi conti in ordine che serviranno a definire i rapporti di forza in vista di un prossimo e sempre più atteso ( da Berlino) accordo sull’Ucraina.

La guerra ammazza Europa

La retorica sulle differenze dello stato di salute dell’economie europee ( Germania -0,2% – Italia + 0,2%), non può nascondere la grande crisi dell’Unione Europea, certificata con carta listata a lutto dal piano di Mario Draghi. In questo pasticcio l’economia tedesca ci è entrata con i suoi partner europei, ma potrebbe cercare di uscirne da sola.

 

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