Mentre Israele decide sull’Iran, l’islam planetario tra sunniti e sciiti

Perché la diplomazia americana ha miseramente fallito, nella sua strategia di ‘riassetto’ del Medio Oriente. Forse, per una sopravvalutazione del proprio potere contrattuale, legato con supponenza al denaro e alla forza militare. Presidente e suoi consiglieri concentrati sui regimi arabi ‘amici’, ignorando la complessità degli scenari politici regionali. Arroganza e ignoranza assieme, catastrofe garantita.

Usa-Israele, chi oggi comanda veramente?

Va subito detto che il rapporto tra Israele e Usa non è assolutamente paritario. Nel senso che, con tutta evidenza, finora Netanyahu ha sempre imposto alla Casa Bianca i suoi punti di vista. Con Bob Woodward che nel suo ultimo libro (‘War’), riferisce le stizzite reazioni di un Biden frustrato a giustificazione. Ma è l’analisi strategica fatta al Dipartimento di Stato e al Consiglio per la sicurezza nazionale che è stata una quasi catastrufe. Per colpire il vero obiettivo finale di Washington e Tel Aviv, cioè l’Iran degli ayatollah, si è tenuto aperto e allargato un conflitto che probabilmente si poteva chiudere prima. Almeno con un cessate il fuoco.

Errori geopolitici e culturali

Da dove partono tutti questi errori di calcolo? Qualcuno, nell’Amministrazione Usa, pensava che un mondo islamico spaccato tra sunniti e sciiti, fosse un’opportunità da sfruttare per isolare l’Iran e tagliare le radici con tutte le milizie assortite tenute in vita dagli ayatollah. Da Hezbollah agli Houthi, il piano prevedeva di depotenziare questi gruppi (sciiti), con la “benedizione” dei regimi arabi moderati. Il primo avrebbe dovuto essere un arcinemico storico dell’Iran, cioè l’Arabia Saudita. Ma, come abbiamo detto, il Medio Oriente è un miscuglio di scenari politici e sociali, dove la lettura della realtà è più complicata di quanto possa apparire.

Area del dissenso tra vertice e base

Così, tutti i cosiddetti ‘regimi moderati sunniti’, devono stare sul chi vive, perché le loro popolazioni non fanno sconti e, generalmente, gli americani non sono molto ben visti. Specie per quanto riguarda la soluzione del problema palestinese. Uno dei nodi per la diplomazia di Blinken, per esempio, è stato quello di insistere troppo, instaurando un rapporto privilegiato, con la Lega araba. E dimenticando la potente Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC), che riunisce ben 56 Paesi, tra cui molti giganti non arabi, come Indonesia, Pakistan, Turchia, Kazakistan e, ovviamente, l’Iran. Questa istituzione sovranazionale, riconosciuta dall’Onu, ha una forza diplomatica notevolmente superiore a quella della Lega araba e rappresenta, di sicuro, un punto di riferimento più autorevole per tutti i Paesi “non allineati” e del Sud del mondo.

Islam non arabo maggioritario

Non solo, ma la OIC, proprio per la sua eterogeneità, smussa le differenze sunniti-sciiti, che peraltro, nella Lega Araba sono presenti, in buon numero, solo in alcuni Stati (Libano, Siria, Bahrein e Irak). Ciò consente all’Iran di trovare nell’OIC lo strumento migliore per la sua richiesta di “solidarietà islamica”. Al di là di questa collocazione internazionale degli ayatollah, il punto critico reale della dialettica tra sunna e sciismo dentro il mondo musulmano, passa attraverso il confronto tra Teheran e Riad. In questo caso, balza ancora più evidente agli occhi l’errore commesso dalla Casa Bianca, con le sue politiche di ‘penalizzazione’ del principe ereditario Mohammed bin Salman, per questioni legate ai diritti umani. L’Arabia Saudita è un alleato troppo prezioso per gli Stati Uniti e averlo maltrattato è stato un boomerang.

Biden ideologico, Cina pragmatica

I rapporti sauditi con Biden, che si erano guastati, sono stati faticosamente ricostruiti solo da un anno. Ma intanto la Cina ha fatto da mediatrice con l’Iran, facendo ristabilire le relazioni diplomatiche con i sauditi. Perché, il Medio Oriente funziona con il principio dei vasi comunicanti. Se c’è un vuoto, qualcuno lo riempie subito. Dunque, Riad è la chiave per capire dove va il Golfo Persico. Bin Salman avrebbe bisogno di pace per realizzare il suo piano di “Vision 2030”, che non ha molto di ‘sunnita’. Lui vuole semplicemente ‘occidentalizzare’ l’Arabia: partendo dall’economia, per arrivare progressivamente alla società.

‘Visioni 2030’ e potenza della vetrina

Quello che gli americani continuano a non capire è che il regno saudita è una vetrina nel Golfo Persico, esposta dirimpetto alla costa e alle città iraniane. Più l’Arabia cresce e maggiormente crescerà l’irresistibile voglia di cambiamento anche nella società persiana. Una guerra, l’occasione di lottare contro un nemico esterno, significa solo dare l’opportunità al regime degli ayatollah di perpetuare il suo potere, in nome e per conto della “sicurezza nazionale”. In fondo, niente di nuovo sotto il sole. Anche a Tel Aviv, Netanyahu ha gli stessi problemi e li combatte allo stesso modo.

Mentre l’economia israeliana perde clamorosamente pezzi e Moody’s la degrada di due ‘tacche’, lui riempie di bombe la regione, allunga la contabilità dei morti e incassa un ‘sostegno incrollabile’ dal duo Biden-Harris contando ancora di più su Trump. Anche in questo caso, non c’è religione che tenga. Il business della politica mette da parte tutti i nostri dotti discorsi sulla ‘sunna’ o la ‘shi’a’. Tempo perso, insomma.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro