Israele in guerra anche nella feroce trincea politica di casa

‘Tikhva Adasha’. In ebraico significa ‘Nuova speranza’, ed è una piccola formazione politica dal nome quanto mai azzeccato, nel caso del premier Netanyahu. Infatti, il partitino posizionato in area di destra (ma pronto al ‘dialogo’ -accordi- con tutti). sta facendo pesare i suoi quattro seggi con grande spregiudicatezza politica. Al punto da lanciare una vera e propria ciambella di salvataggio parlamentare al premier.

La politica estera israeliana e quella interna si tengono per mano

Tra i risultati una strategia militare spesso sproporzionata, con logiche che appaiono incongruenti. A meno che non si faccia un’analisi approfondita, dell’attuale sistema di decisioni ai vertici dello Stato ebraico. Dunque, Netanyahu ha convinto una vecchia volpe come Gideon Sa’ar, leader di ‘Nuova speranza’, a entrare nel governo. Così facendo Sa’ar è stato accusato di aver tradito la sua precedente alleanza, quella con Benny Gantz e il suo Partito di Unità Nazionale. Ravit Hecht, su Haaretz, ha avuto nei suoi confronti espressioni di disprezzo, facendo capire che, in fondo, Sa’ar, nominato ministro senza portafoglio, si è venduto a Netanyahu per un piatto di lenticchie.

Buono per tutte le stagioni

In verità, Gideon Sa’ar è sempre stato un leader buono per tutte le stagioni, sempre pronto ad approfittare delle opportunità politiche offerte da un determinato momento storico. Non si può dire che ‘tradisca’ ideali incrollabili. Nella sua lunga e stagionata carriera, è stato due volte ministro con Netanyahu e in un terzo caso con Naftali Bennet e Yair Lapid. Con Bennet, per un breve periodo, è anche stato Vicepresidente del Consiglio. Soprattutto ha retto il Ministero della Giustizia, prima che arrivasse Yariv Levin, l’architetto della famigerata riforma costituzionale tentata da Netanyahu per mettere la magistratura “sotto tutela”. Uno sforzo non riuscito, ma che ha gettato lo scompiglio nella società israeliana che, per un anno (fino ai massacri di Hamas del 7 ottobre) aveva catalizzato tutta la sua attenzione su questo ‘affaire’, ritenuto un attentato alla democrazia.

La moralità politica

Haaretz fa un’analisi comparativa col comportamento tenuto da Benny Gantz e Gadi Eisenkott, che pur avendo deciso di entrare nel Gabinetto di guerra, hanno fatto marcia indietro quando hanno riconosciuto che la conduzione delle operazioni non era in linea con le loro aspettative. Finora, Netanyahu ha potuto rimandare qualsiasi resa dei conti, politica o giudiziaria, invocando l’emergenza dello stato di guerra. In sostanza, l’applicazione a macchia di leopardo della legge marziale e le invocate esigenze di sicurezza nazionale, sono prioritarie rispetto al ripristino di una normale dialettica democratica, a partire da nuove elezioni. Chi toglierebbe mai la fiducia a un governo, nel corso di un conflitto, per andare a votare? Certo, non bisogna mai tirare troppo la corda. Netanyahu, per la sua sopravvivenza da premier, dipende dal voto dei partiti messianico-nazionalistici. Sono Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, in primis, a garantire stabilità al suo esecutivo. E a ricattarlo.

Ricatto e prepotenza

L’invadenza dei coloni in Cisgiordania, le violenze gratuite sui palestinesi, la costante crescita di un clima di odio e di ricorso alla forza per risolvere qualsiasi contenzioso, parte da questi due personaggi. Riferendosi alla nuova alleanza con Sa’ar, Haaretz scrive: “Questo è un governo che non sarà debitamente punito o addirittura indagato per i suoi fallimenti, come risultato di una mossa insolente che potrebbe anche bloccare la convocazione di una commissione nazionale di inchiesta. L’adesione di Sa’ar al governo fornisce anche a Netanyahu il sostegno personale per fermare il suo processo, in virtù della guerra infinita e dei molteplici fronti che il primo ministro sarebbe lieto di accendere”. La preoccupazione costante dei commentatori israeliani di area “liberal”, in definitiva, è che le guerre intraprese in modo così massiccio e cruento da Israele, contribuiscano a coprire manovre di politica interna non proprio trasparenti, finalizzate ad alterare il corretto gioco della dialettica democratica.

Anche guerre politiche interne

Così conclude la sua riflessione Ravit Hecht: “La mossa aiuterà Netanyahu a consolidare anche il suo regno dittatoriale prima del prossimo giro di nomine ufficiali importanti, attraverso un tentativo di prendere il controllo delle agenzie di sicurezza e distruggerne l’indipendenza. E questo in un momento in cui si sta elaborando una legislazione corrotta, che garantirebbe una continua elusione della leva da parte della comunità ultra-ortodossa. Tutto questo assieme a continui abusi e disprezzo per il pubblico liberale che sopporta il peso fiscale del Paese e il peso del servizio militare”.

Comunque, la società israeliana non sta a guardare. La ruota gira e, all’orizzonte, si riaffacciano altri personaggi che potrebbero rivivere il loro momento di gloria. Un nome? Avigdor Lieberman, il leader di Yisrael Beitenu, già Ministro della Difesa e personaggio “ecumenico”, capace di mettere d’accordo elettori di destra e di sinistra. I sondaggi dicono che abbia già quasi triplicato i voti.

Tags: Israele
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