Contro il sistema che genera obbedienza

Ci servono nuove idee. Che sovvertano le vecchie, infeltrite dal tempo, rese infelici dai troppi adeguamenti alla realtà, dalla troppa accettazione dell’ingiustizia come dato di fatto, della politica del niente da poter fare, della cultura dell’intrattenimento senza spessore, senza più capacità di vedere un palmo oltre la propria ombra. 

Ci serve nuovo coraggio. Il coraggio, quello tenue, deciso e imperterrito. Di non abbassare lo sguardo, di non cedere alle tentazioni dell’epoca, alle lusinghe del mondo così come è, dolcemente immutabile. Un mondo di merci e di interessi che riguardano l’accumulo di profitti; di soldi fatti insanguinando la terra, vendendo armi, producendo bombe e missili, facendo guerre, ammazzando innocenti. Raccontando poi il tutto come fosse cronaca fredda, accettabile e tossica. E tacendo tutto il resto.

Oscuro, crudele e umanitario questo sistema. Da prendere col sorriso dell’ottimismo, ci dicono che faccia meno male. Da prendere con la potenza dei buoni propositi, dei fiori di plastica, con il paracottismo culturale che rende ogni prospettiva uno schermo di telefonino, di televisione, di pc. Qualcosa che non conosce profondità, ma solamente dogmi. E algoritmi e decisioni spregiudicate e schifose, ammanettamenti dell’animo. Che sembrano inevitabili perché macchinosi, perché presi da qualcosa che non vediamo e non capiamo, da un sorvegliante non umano che obbliga il nostro modo di pensare a evitare le punizioni virtuali e cocenti. Sorvegliare e punire, ma simpaticamente su Tik toc. Essere sorvegliati, ma gioiosi ed evitare il più possibile il castigo per aver pensato con libertà.

Il sistema che genera obbedienza. E gli schiavi felici fanno a gara per obbedire con zelo, con precisione, con una costanza definibile merito. Obbedire con una certa eleganza di moda, tra un gossippello e una musica tritacervello, in modo creativo, con ironia, sapendo surfare le onde mediatiche del tempo, avendo argomenti e tesi, polemiche e capacità. Ma obbedendo. Pur sempre obbedendo da sorvegliati.

Fuori da questa assuefazione dolce e feroce, però, c’è ancora vita. C’è un potenziale anarchico che viene dal senso critico, dal non accettare il mondo per quello che è. 

Per non accettare di dover evitare di chiamare criminali i criminali perché abbatte il ranking sui social. Per non accettare come valore assoluto quello della ricchezza che cala sui territori come un’armatura culturale, pronta a tutto per potersi espandere senza fini. Per riprendersi l’esistenza, fuori dagli schermi, dalle arene mediatiche, dai campi dialettici inutili che servono per mostrare opposizioni tenaci e culturali, a fronte di battaglie che non smuovono una virgola.

Questa riflessione, che da tempo va avanti sui Polemos, viaggia sui sentieri delicati che attraversano le valli e se trovano un albero non lo abbattono ma lo aggirano. Sentieri tracciati nel tempo dall’esperienza, dalla memoria e dall’uso comune. 

Non tutto è perduto, l’incantesimo si può disincantare. La semplicità delle cose giuste può tornare ad apparire evidente anche a chi vive nel virtuale mediatico come fosse la realtà. Per esempio in tutto questo mare di guai l’idea che i cittadini possano riappropriarsi del diritto di pretendere dalle istituzioni e dalla politica il rispetto della democrazia, quindi delle scelte per il bene comune, sembra ancora possibile. Anche nella notte oscura che stiamo attraversando. 

Parlando in un incontro pubblico, sul futuro del territorio e su chi ha interesse a raccontare e a plasmare questo futuro per tutti, è intervenuta una giovane donna parlando dei servizi per il cittadino, in particolare del fatto che non dobbiamo accettare di vedere le nostre scuole chiuse per mancanza di fondi, il bene comune abbattuto, dimenticato o alienato per mancanza di risorse, considerando il fatto che in democrazia spettano ai cittadini e ai loro rappresentanti le scelte, soprattutto se difficili.

E anche difendere una scuola anche se antieconomica (per chi?) è una scelta che si può fare. Che si deve tornare a fare. Contro corrente, contro una narrazione ostile che accetta tutte le privatizzazioni e le scelte scellerate come benefici di modernità. Dimenticando che in democrazia il bene comune va difeso fino all’ultima risorsa umana, non il vantaggio privato di pochi a scapito di tutti gli altri.

Sembra poco concludere questa riflessione così, ma pensare di dare valore maggiormente ai servizi e meno agli interessi brutali, militari ed egoistici di un sistema ingiusto, è già rivoluzione. 

 

Tags: Polemos
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