
«I vostri stivali militari entreranno nel territorio nemico, entreranno nei villaggi di Hezbollah. Attacchiamo tutto il giorno sia per preparare una vostra possibile entrata, sia per continuare a colpire Hezbollah» ha dichiarato il generale Herzi Halevi ai soldati di un’unità di blindati (oltre alle due brigate di riservisti richiamati per «missioni operative nel nord»), riporta un comunicato ufficiale dell’IDF.
Hezbollah, che ieri ha annunciato la morte di Ibrahim Kobeissi nel bombardamento a Beirut sud di martedì – tra i vari attacchi rivendicati nel nord di Israele ha colpito il quartier generale del comando del nord, nella base di Dado, nella regione di Safed. E per la prima volta ha lanciato dei missili in direzione Tel Aviv, sul quartier generale del Mossad. Missili intercettati, ma azione simbolica. E segnali di risposta.
“La situazione fra Libano e Israele dall’8 ottobre è intollerabile e presenta un rischio inaccettabile di una più ampia escalation. Per questo chiediamo un immediato cessate il fuoco di 21 giorni al confine fra Libano e Israele”. Lo affermano in una nota Stati Uniti, Australia, Canada, Unione Europea, Francia, Germania, Italia, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar.
Ma è ancora Biden, a fine presidenza, l’altro protagonista in questa tragedia. Sempre e comunque armi americane ad Israele, ovunque Netanyahu intenda usarle?
Nessuno sostiene di sapere cosa accadrà ma i fatti parlano. Come Gaza, spianata la strada con bombardamenti a tappeto, l’invasione. E i bombardamenti israeliani disegnano i loro punti di interesse strategico. Anche se l’ultima volta che dei soldati israeliani hanno messo piede in Libano è stato nel 2006, la guerra del Tammus, quando hanno incontrato molte difficoltà a fronteggiare Hezbollah nel suo territorio.
Il Libano è il Paese con più rifugiati in Medio Oriente, segnala opportunamente Mauro Indelicato su InsideOver. I rifugiati palestinesi storici dopo la guerra del 1948. Oggi, con i loro discendenti, forse 300mila. Dal 2011 in poi, la fuga dei siriani dalla guerra civile a Damasco, oggi forse 1milione e mezzo ancora ospiti. Ora i profughi interni, le decine di migliaia in fuga dal sud a cui diventa problematico offrire una minima assistenza.
«La prima preoccupazione legata al nuovo flusso di rifugiati, è di natura economica: mantenere campi profughi ha un costo non indifferente, in una fase in cui le casse dello Stato libanese sono vuote e non hanno nemmeno i soldi per pagare l’energia elettrica», precisa Indelicato che subito segnala l’altro rischio, più disastroso ancora della fame e della disperazione. Le tensioni politico religiose interne libanesi.
Libano composto da diverse comunità, tanto che dopo la sanguinosa guerra civile degli anni ’70-’80 è spartito tra tre principali gruppi religiosi: sunniti (a cui spetta la designazione del premier), cristiani (la presidenza della Repubblica), sciiti (a cui appartengono gli Hezbollah, la presidenza del Parlamento. Gli equilibri tra le tre comunità sono sottili, tanto che in Libano, non si effettua un censimento e dal 1932.
«Le varie componenti religiose con loro aree di influenza: i sunniti vivono nel Nord e nelle città costiere; i cristiani nelle aree del Monte Libano e in specifiche comunità; gli sciiti prevalentemente a Sud e nella Valle della Bekaa», i dettagli.
Israele che dal 2006 voleva il suo confine nord sul fiume Litani e con altre decine di migliaia di libanesi costretti a cercare altre terre dove vivere, a rompere antichi equilibri politico, religiosi e tribali. Con forti rischi di violenze interne.