L’Italia compra la banca tedesca e Scholz non gradisce

La notizia economica della settimana si è trasformata in un caso politico:  “Unicredit si compra la tedesca Commerzbank, ma il governo di Scholz si oppone”. Due settimane fa Unicredit aveva comprato il  9 per cento dalla vendita di una parte della partecipazione del governo tedesco che ne era primo azionista con il 16 per cento. Ieri ha sottoscritto sul mercato un altro 11,5%: poteniale primo azionista oltre il 20%. A sostegno della banca italiana, Barclays Plc e Bank of America.  

Lo Stato tedesco nella banca del 2008/9

Lo Stati tedesco è nel capitale della ‘Commerzbank’ dai tempi della crisi finanziaria del 2008/2009, quando intervenne per salvarla: da allora sta gradualmente vendendo le sue azioni per uscire del tutto dal capitale. Il colpo da maestro la banca italiana lo ha messo nella giornata di ieri giocando sul calo mattutino delle azioni di Commerzbank per sottoscrivere un altro 11,5 per cento del pacchetto. Con quest’ultima mossa Unicredit arriverebbe a quasi il 21 per cento del capitale della banca tedesca, diventando prima azionista.

Alle Germania il numero 2 non piace

La manovra ha però provocato la reazione del governo tedesco che tramite il cancelliere Scholz, consolato dalla ‘non catastrofe’ elettorale in Brandeburgo, ha bollato con una nota durissima come ‘unfreundlich’, ostile, l’azione della banca italiana. Ma così non la pensano alla Bce. E Christine Lagarde (un po’ stufa del rigore tedesco a convenienza), ha dato la sua benedizione all’operazione, qualificando le aggregazioni bancarie come una necessità per possibili crisi dei debiti sovrani.

Unicredit-Commerzalbank al 5° posto

Attualmente Unicredit e Commerzbank sono rispettivamente l’ottava e la dodicesima banca per dimensione del bilancio all’interno dell’Unione europea: una loro ipotetica fusione le farebbe salire in quinta posizione. La stessa comunità imprenditoriale tedesca, per voce del giornale economico Handsblatt tesse le lodi del presidente di Unicredit Andrea Orcel e vede di buon occhio l’operazione intesa come creazione di una solidità necessaria ad affrontare la concorrenza internazionale.

Isteria govenativa isolata

La reazione del governo, Spd e Verdi in testa, pare isolata. Di certo la proverbiale rigidità della potenza economica tedesca non desta grossa simpatia e gli attacchi da mezza Europa si sprecano. C’è voglia di rivincita nei confronti di uno strapotere industriale ormai delinato al passato, dal caso Wolkswagen fino a Commerzbank. Ma critiche fondate unite a pregiudizi rischiano di offuscare la cruda realtà che sta dietro ad operazioni di questo genere. Anche se i conti da fare non sono tutti e prima di tutto economici ma occupazionali.

Gravi problemi occupazionali

Unicredit ha più di 76mila dipendenti in tutto il mondo, e Commerzbank più di 40mila. E’ ragionevole pensare che il ‘nein, un po’ istericoi del leader del partito socialdemocratico sia suddiviso tra necessità di controllo e difesa dell’occupazione. Le fusioni normalmente fanno cadere la mannaia dei tagli dei costi sui dipendenti.  In particolare nel settore bancario dove l’innovazione tecnologica ha già cambiato il modo di operare.

Ne sanno qualcosa le migliaia di dipendenti ‘esodati’ delle principali banche italiane, ma anche i contribuenti che pagano i salvataggi degli istituti in difficoltà. Un dilemma di non facile soluzione per la Germania e la sempre più fragile Unione degli Stati europei.

 

 

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