
Per Starmer, vincere le elezioni è stato un gioco da ragazzi, ma governare il Paese sta diventando una cosa terribilmente più seria, anche perché adesso il suo monocolore socialdemocratico viene attaccato da tutti. Con una maggioranza ‘bulgara’, come ha lui, nessuno è pronto a fare sconti. E tutti si aspettano risultati (ma sarebbe meglio dire miracoli) fin da subito. Naturalmente, i meno autorizzati a criticare dovrebbero essere i conservatori che sono i veri colpevoli delle difficoltà nelle quali si dibatte il Regno Unito. In effetti, a parte qualche accusa che potremmo definire ‘d’ordinanza’, i Tories si limitano a osservare lo spettacolo di uno Starmer in palese difficoltà.
Governo blindato dai consensi che deve fare quadrare i numeri, e quelli hanno poco a che fare con l’empatia dell’elettorato. Insomma, deve convincere i mercati, un posto dove non basta affabulare, anche perché i paletti della politica monetaria li fissa la Banca d’Inghilterra. Purtroppo, le prospettive, per Stammer e per i sudditi di Sua maestà Carlo, sono nere come la pece. Come già detto, non è assolutamente un problema di ‘colpe’ ma di scomode eredità economiche e fiscali, che si sommano, amplificate, da un’inflazione che è stata fuori controllo per più di un anno.
Secondo il rapporto dell’Office Budget Responsibility, pubblicato con grande evidenza dalla BBC, le finanze pubbliche britanniche ‘sono sconvolte’. “Abbiamo il debito più alto dagli anni ’60 –denuncia il Segretario capo del Tesoro, Darren Jones- ,e le tasse più alte dagli anni ’40. Inoltre, il debito è destinato a raggiungere le dimensioni di tre volte il nostro Pil”. Non subito, è ovvio. Ma nell’economia fanno testo le tendenze e se le previsioni parlano di una crescita inesorabile, significa che le politiche finanziarie del sistema vanno invertite. O si va incontro al fallimento assicurato con un astronomico debito pubblico al 267% del Pil entro il 2071. Al netto da guerre, pandemie, e tensioni commerciali, “che potrebbero fare di peggio”.
L’OBR esprime un giudizio chiaro. Per raddrizzare il baraccone dei servizi pubblici britannici serve una quantità di soldi. Qualcosa come 250 miliardi di sterline in più, ogni anno, per sanità, assistenza sociale, pensioni e prestazioni correlate. Un esborso che può essere raggiunto solo aumentando il gettito fiscale. Più tasse, significa anche decidere il ‘come’. I laburisti sanno che le imposte sui ‘super-ricchi’ sono un buon espediente elettorale, ma non danno grandi introiti. “Spremono” una platea minima di contribuenti. Quindi: che farà il socialdemocratico Starmer, per avere introiti sufficienti a pagare le pensioni e ad erogare i servizi pubblici?
L’Office Budget Responsibility pone un’altra questione di primo piano: le spese militari. La tradizionale ‘vicinanza’ (mettiamola così) della politica estera inglese a quella Usa, indurrà anche il governo Starmer a spendere il 2,5% del Pil per la difesa? Il report riproposto dalla BBC, avverte che ciò avrà conseguenze negative. È un’altra delle domande che, in questi giorni, piovono sulla testa del leader laburista. Anche dall’interno del suo stesso partito. Ma è la critica (più credibile) serrata e velenosa, che arriva dai liberaldemocratici di Sir Ed Davey, quella che a lungo andare potrebbe fare perdere pezzi importanti al Labour.
Con un programma globalistasenza essere condizionato da steccati ideologici, i ‘Lib-Dem’ hanno ottenuto 72 seggi, pur non avendo una base elettorale amministrativa molto diffusa. Sono stati capaci di colmare un vuoto ideologico che i due partiti maggiori hanno lasciato incustodito. Si tratta di quello che un’analisi del Financial Times definisce “nuovo spazio politico”. Una ‘terra di nessuno’ dove le ricette liberal-democratiche possono essere gradite a tutti i palati. In particolare, sull’Europa stanno giocando una partita a tutto campo. Accusano Starmer di rimettere in discussione solo alcuni aspetti secondari della Brexit, senza proporre una soluzione di compromesso.
Devey dice che Starmer ha messo troppe linee rosse, tra l’Europa e il Regno Unito, quando invece bisognava puntare a rientrare nell’Unione doganale e, successivamente, nel mercato unico. Così come è stato un errore, da parte laburista, bloccare l’accordo sulla mobilità giovanile con l’UE. Cambiano le epoche, mutano i governi, si alternano persino i sovrani, ma a Westminster si avverte sempre lo stesso sentore: quello di un ostinato impero in disfacimento, che non vuole rassegnarsi allo scorrere inesorabile della storia.