Siamo classi subalterne, non importa se con zero soldi o tanti soldi, siamo classi subalterne culturalmente. Private di parola.
Di questo parliamo. Di fronte all’egemonia tossica di un racconto della realtà assurdo, mediaticamente e socialmente, declinato in sfumature politiche alternative troppo lievi per mettere in dubbio l’essenza indiscutibile del potere ingiusto e bellico, occorre riprendere il filo del discorso.
Ricostruire luoghi in cui nutrire memorie, progetti per coltivare comunità, idee per non essere passivi spettatori mediatici, per riprendersi le strade, le piazze, le feste, le discussioni, la politica, i paesi.
Attraverso la parola. Attraverso le idee che hanno radici sul terreno in cui viviamo. Non gli slogan a cappero, non le seghe mentali dei borghi e delle riqualificazioni che altri interessi, lontani dal bene comune, calano sui territori come una colata di cemento culturale.
Queste parole, in vista di progetti che facciano della partecipazione e del “fare del pensiero un’azione” la base culturale, sono dedicate a Tommaso Verga, battagliero coraggioso difensore dei diritti di tutti, del bene comune, della possibilità necessaria e democratica di raccontare e raccontarsi. Soprattutto quando chi ha potere e mezzi vuole farlo