Avvenire, il giornale dei vescovi italiani segue da sempre con grande attenzione la tragedia ucraina, con chiavi di lettura e spunti di riflessione sempre molto importanti. Come quella di oggi da parte di Giacomo Gambassi. Di fatto, il Paese sull’orlo della sconfitta militare sempre più difficile da nascondere, una inconsistenza politica interna fatta di atti autoritari e dimissioni ministeriali decisamente sospette. Un pesante calo di popolarità interna da parte del presidente Zelensky, aiutato da una serie di atti politici di governo molto discussi e discutibili. La fase critica del conflitto, il “dilemma” piano di pace e il calo di popolarità interna, e la posizione del presidente si fa più instabile.
Ed è proprio l’involuzione del conflitto che rende sempre più precaria di posizione del presidente. «Le avanzate russe nel Donbass, l’escalation dei bombardamenti su tutta il Paese, il numero crescente di morti al fronte, l’assenza di una prospettiva reale di riconquistare le regioni strappate a Kiev (un quarto del Paese), la corruzione interna che s’impenna nell’esplodere dei bisogni, l’economia ormai paralizzata, l’inflazione alle stelle, il giro di vite sull’arruolamento obbligatorio hanno spento l’entusiasmo verso Zelensky». Oggi il suo gradimento non supera il 45%, secondo l’ultimo rilevamento dell’Istituto di sociologia di Kiev. Ben lontano da quell’85% che aveva all’esordio dell’“operazione militare speciale”, secondo la definizione cara al Cremlino.
Anche l’offensiva ucraina su Kursk, la regione russa che da agosto è in parte controllata dai soldati di Kiev, pensata come un rilancio non solo di immagine in caso di negoziati per un eventuale scambio di zone occupate, si è ormai rivelato un grossolan errore strategico che ha tolto truppe chiave alla prima linea difensiva ucraina nel Donbass, per la conquista di un territorio russo marginale da cui, da ora in avanti (già pessimi segnali in corso), sarà persino difficile riuscire a far rientrare incolumi le truppe occupanti.
La spossatezza del Paese è confermata dai sondaggi: il 59% degli ucraini ancora in patria chiede che si aprano i negoziati, anche se viene bocciato un congelamento del fronte nelle condizioni attuali. Non è un caso che il leader ucraino caldeggi, accanto alle armi e ai finanziamenti per uno Stato senza più risorse, il suo piano di pace unilaterale lanciato nel vertice in Svizzera a giugno che il Cremlino -neppure invitato- ha avito gioco facile e scontato e respingere.
Il mancato coinvolgimento di Mosca, come ha ribadito nei giorni scorsi il cancelliere tedesco Scholz o come aveva già rilevato il segretario di Stato vaticano, il cardinale Parolin. Così è arrivata l’apertura di Kiev al Cremlino nel prossimo vertice che si terrà a novembre: ma il progetto di Zelensky non appare molti credibile, e non solo per l’opposizione dichiarata di Mosca. I continui cambi nella compagine governativa (e nell’esercito) confermano di fatto la debolezza del leader ucraino.
«Nell’ultima tornata di ‘pulizie interne’ c’è stato l’addio del ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba. Dimissioni prima di essere cacciato», rileva Giacomo Gambassi. Un’uscita di scena che, a distanza, e neppure troppo lunga, sarebbe destinata a rafforzarlo. Infatti il suo nome potrebbe essere uno di quelli da spendere come ‘sostituto’ di Zelensky in future trattative, forte del ruolo di interlocutore credibile. ‘Affidavit’ internazionale che manca invece all’ex capo delle forze armate Valery Zaluzhny, altro candidato alla successione.
Destituito a febbraio e spedito in esilio in Gran Bretagna come ambasciatore, il generale Valery Zaluzhny, gode di una popolarità interna intorno all’80% ma non di un curriculum diplomatico. Ambisce alla presidenza anche il sindaco di Kiev (ed ex pugile), Vitaliy Klitschko, rivale di lunga data di Zelensky che da mesi si muove per mettersi in evidenza. Eppure in Ucraina prevale la convinzione (in almeno metà della popolazione) che gli scontri dureranno almeno un altro anno. Il tempo per un avere un nuovo capo dello Stato?
Nella città data per persa sul fronte caldo del Donbass: «Così reggiamo una settimana». I militari furiosi: «Il comandante di zona è un incompetente e mancano rinforzi». Il reportage di Sabato Angieri, sul Manifesto. «Pensa» racconta un ufficiale anonimo all’inviato, «che dopo aver chiesto rinforzi per mesi ci hanno mandato delle reclute che stavano nel Kursk… ragazzini che per poco non si sparano sui piedi! Abbiamo dovuto separarli e distribuirli tra i nostri per evitare che ci intralciassero». Inoltre nelle retrovie hanno dislocato delle reclute appena uscite dai campi di addestramento. «Cosa dovremmo farci? Sembra quasi che la vogliano regalare ai russi questa dannata città.
Dei 50mila residenti che vi abitavano prima della guerra ora ne restano poche migliaia. Ieri l’amministrazione cittadina ha diffuso un comunicato nel quale ammette l’impossibilità di poter mantenere le forniture idriche d’ora in avanti; la corrente elettrica e il gas mancano già da un po’. L’ordine di evacuazione è stato dato da qualche settimana ma, come in molte città del Donbass diventate terreno di scontro, c’è sempre una parte di popolazione che non vuole partire.