
«Avvolto in un’aura sacrale Mario Draghi ieri è tornato a indossare i panni del profeta», il non troppo ‘ben tornato’ da sinistra. «La produttività è una sfida esistenziale per l’Unione Europea. Servono investimenti come negli anni ’60-’70. Il 5% di Pil all’anno». Von Der Leyen ripere: “Necessari fondi per alcuni progetti europei comuni. Definiremo se li finanzieremo con contributi nazionali o con nuove risorse proprie”. Tutto per difendere il «modello sociale europeo» senza toccare i disastri di 40 anni di neoliberalismo, il commento motivatamente acido del Manifesto.
Il buco e la pezza, proposta rispetto al buco. Presentando il rapporto sul «Futuro della competitività» chiesto dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ieri Draghi ha detto che l’Europa «corre un rischio esistenziale». È il vaso di coccio nella guerra industriale e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per evitare di mettere fine al «modello sociale europeo», o meglio di ciò che ne resta sotto altre spoglie, l’Unione europea deve ripensarsi radicalmente e varare uno strumento finanziario di «debito comune» da 800 miliardi di euro all’anno. Insomma, un Next Generation Eu (chiamato in Italia «Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr») moltiplicato per otto. Ogni anno.
Debiti moltiplicati per otto. Una montagna di soldi che dovrebbero finanziare principalmente l’industria dei missili e dei carri armati, della tecnologia digitale, delle infrastrutture. L’obiettivo è partecipare a uno speciale campionato, quello della guerra dei capitali, in cui formare «campioni europei» che, forse in un giorno non precisabile, potranno competere con gli oligopoli statunitensi e i cinesi.
Il progetto è stato ufficializzato due giorni prima dalla nuova ma ancora incerta Commissione Europea. Il testo è già «sul tavolo del Consiglio» dove siedono i governi degli Stati membri. I commissari designati all’esecutivo europeo dovranno impegnarsi ad applicare le 170 proposte ‘riassunte’ (si fa per dire). «Agenda Draghi» dall’entusiasta Partito democratico di primo azzardo e qualche ripensamento in corso, e i critici dell’Alleanza Verdi Sinistra e Cinque Stelle.
Con un’Europa politicamente a pezzi nello scontro tra mercantilismo e nazionalismo, la possibilità di realizzare interamente il piano Marshall intestato a Draghi, più che doppio in termini di investimenti rispetto al Prodotto Interno Lordo, appare più che uno studio, un semplice magheggio. L’ex presidente del consiglio è pragmatico e non ha indicato una tabella di marcia, per non inciampare. Saranno gli altri a farlo per lui ed esempio parlando di debiti al ministro tedesco.
Von der Leyen, nelle acque agitate che si intravvedono, potrebbe presto trovarsi in difficoltà. Starà a lei trovare i compromessi per realizzare la visione di Draghi. «Saranno necessari fondi comuni per alcuni progetti europei comuni. Il compito è ora definire questo progetto – ha detto – Poi definiremo se li finanzieremo con nuovi contributi nazionali o con nuove risorse proprie». Un altro punto politico rilevante del rapporto Draghi è la riforma del voto all’unanimità senza ricorrere a impegnative revisioni dei trattati europei. Ciò potrebbe portare a un’Europa delle «cooperazioni rafforzate».
Con dettegli di attualità di non poco conto. Con Marine Le Pen che etero-dirige il governo macronista in Francia e con l’Afd che sta con il fiato sul collo del pallido Olaf Scholz. La creazione di un debito comune presuppone una maggiore concentrazione politica ed economica. Difficile come prospettiva, in un mondo in cui la guerra si fa sia con le armi che con il protezionismo economico la politica estera deve coordinare quella industriale, la concorrenza e il commercio.