Il festival della poesia in bottiglia

Esiste un festival unico nel suo genere. Accade a San Quirico d’Orcia. Si chiama “Primo, unico e ultimo festival della Poesia in Bottiglia, lasciata nelle onde del tempo per una ballata corale di versi, amore e anarchia”. Dura da un anno, terminerà il 14 settembre con la distruzione della Bottiglia che contiene il festival, che contiene i versi di chi ha desiderato testimoniare il tempo, la notte, il passaggio, l’incontro, la valle, il paese, l’amore. Versi di poeti, versi di sconosciuti.

Dedicato a chi ha detto: io non scrivo poesia, ma scrivere su un piccolo foglio un verso del cuore e inserirsi nella bottiglia di vetro del festival è un atto poetico. Ecco, questo è e questo serve. Un agire libero e disinteressato non per promuovere un successo, un narcisismo, o semplicemente se stessi.

Qualcosa che ci ricorda che la poesia non è nata per glorificare il poeta, essa serve a celebrare la comunità.

Parliamone. Della poesia mi interessa la sospensione del linguaggio corrente, tecnico, politico, giornalistico; l’impigliarsi delle parole nel suono sovversivo del verso, quando ti porta lontano, o per lo meno distante dalla tossica narrazione quotidiana. Mi piace il sabotaggio di quel senso comune, spesso contemplativo ma obbediente, fatto di frasettine da social, da citazioni a cappero. Senz’anima, perché per stupire mezz’ora non serve più neanche un libro di storia, basta Google.

E poi di che altro dovremmo parlare?

Del potere cialtrone che si esprime esattamente come ciò che è? Dovremmo restare testimoni dello sfregio culturale e sociale del Paese? Deferenti ad ossequiare miracolati dei media e della politica? Dovremmo comodamente sederci zitti e buoni sulle sedioline di plastica schierate in ascolto e indossare la camicia nera culturale senza provare un brivido dietro la schiena?

No, grazie. Alla plastificazione della vita, mediatica e legata a interessi che non ci appartengono, preferisco il mistero della poesia e il suo portato enigmatico che scardina senso comune. Così provo amore per le poesie che giungono da un altrove operoso. In particolare per i libri di poesie, anche di poeti sconosciuti, che arrivano col passaparola o per la scelta del caso. Rendono il mondo migliore. In ognuno trovo una chicca. Un verso, una genialità sovversiva. Un sogno, un motivo per dire che devi ricordare le parole del sogno. Per rincorrere l’arcaico e il mistero. Senza paura

Tornando al Festival in bottiglia, contro la plastificazione della cultura,
possiamo aggiungere che si tratta di versi di vita, pronti ad erompere dal vetro in fiamme, per diventare un campo di fiori poetici. Perché dopo la lettura pubblica, forse anche la pubblicazione, le poesie emerse dal tempo e dalla notte saranno piantate insieme con una bomba di semi, perché esplodano nella natura. Piantate per far crescere bellezza, per una battaglia di resistenza, per difendere a oltranza l’idea che la libertà sia un valore di giustizia sociale e uguaglianza di diritti.

Poi la luna svuoterà la sera. E ci ricorderà che occorre lottare giorno dopo giorno per spezzare le catene. Col poco e con il niente, seme dentro il seme. Mai obbedienti e assuefatti.

 

 

Tags: Polemos
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