
A giugno e luglio, i dati oppupazionali erano stati calcolati erroneamente, e in realtà c’è stata una frenata. Un dato importante per l’andamento del ‘sistema America’ dei prossimi mesi, su cui si confrontano e si scontrano decisivi interessi economico ma assieme politici ed elettorale. Insomma, c’è stata una frenata. Perché il dato è importante? Perché, sul trend che prenderà nei prossimi mesi il sistema-America, si confrontano (e si scontreranno violentemente) due scuole di pensiero: quella Biden-Harris e quella espressa da Donald Trump. Ed ecco perché qualsiasi segnale di modifica degli indicatori che quantificano un sistema, scatena un serrato contraddittorio politico, che sconfina in una vera battaglia, fatta di accuse e controaccuse.
Cosa è accaduto in questi ultimi difficili anni? Il Presidente degli Stati Uniti ha tenuto l’economia a galla con i “pagherò”, cioè con il debito pubblico, ma a un prezzo salatissimo: accumulando un deficit di bilancio astronomico. Che qualcuno, primo o dopo, dovrà pagare. Da calcoli approssimativi fatti mettendo assieme tutte le operazioni finanziarie sostenute nel piano della Casa Bianca, l’esborso ammonta a una cifra compresa fra i 3 e i 5 trilioni di dollari (migliaia di miliardi). Qual è il problema ora? Beh, diciamo che con un’inflazione al 2,9% e tassi di interesse ancora troppo elevati la Federal Reserve presto deciderà un primo taglio. E qui il dubbio è “quanto” tagliare. Si potrebbe decidere per un lieve 0,25%, oppure andare direttamente a mezzo punto.
In ogni caso, anche il nervosismo dei mercati azionari dimostra che ci si attende un progressivo rallentamento dell’economia americana. Siccome nella globalizzazione telematica attuale i fenomeni avvengono in tempo reale, potrebbe anche verificarsi una frenata più forte del previsto del sistema, che annuncia una recessione. E questa sarebbe una tragica notizia per il ticket Biden-Harris, che proprio sul versante economico sta combattendo sulla difensiva. Certo, molto dipende anche dalle mosse che farà Jerome Powell, il Presidente della Federal Reserve. A questo proposito, ieri, in un lungo report, il Wall Street Journal ha fatto capire che c’è ancora molta incertezza. John Williams, il Presidente della FED di New York, nonché stretto collaboratore di Powell, ha dichiarato che i tassi caleranno, ma non subito e, soprattutto, non in misura consistente.
La Banca centrale Usa continua a tenere la guardia alta e non si fida molto di indicatori, che offrono un’immagine in chiaro-scuro dell’economia americana. D’altro canto è difficile dargli torto. Con tutto il rispetto per le scelte emergenziali fatte negli ultimi tre anni e mezzo dalla Casa Bianca, i numeri dicono che, in quanto a spesa pubblica, gli Stati Uniti sono diventati il ‘Paese della cuccagna’.
L’ultimo numero dell’Economist, tra i suoi indicatori, segnala che il deficit su Pil Usa viaggia intorno al 7%. Peggio hanno fatto solo Brasile, Israele e Pakistan. E la Russia. Insomma, se non si chiamassero Stati Uniti, visto come s’indebitano, le società di rating dovrebbero essere le prime a “degradarli”.