Netanyahu, arroccato nel suo fortino di intransigente nazionalismo, sostenuto da alleati invasati che sognano futuri di gloria messianica, non si smuove di un millimetro. Ieri ha ripetuto, in televisione, che i Corridoi Filadelfia e Netzarim resteranno sotto controllo israeliano, a Gaza. L’ha fatto perché Biden e Harris lo capissero, una volta per tutte. Proprio loro che, davanti a Trump, hanno preso coraggio e gli danno battaglia, ma che sulla crisi di Gaza barcollano. Anzi, rischiano di affondare. Joe Biden e Kamala Harris stanno facendo di tutto per mandare un segnale definitivo, su una possibile pace in Medio Oriente. L’estremo tentativo, che racchiude un mix contraddittorio di speranza ed esasperazione, suona come un ultimatum: o si raggiunge un accordo per il “cessate il fuico”, entro due settimane, oppure l’America si tira fuori. In che senso? Beh, la proposta-ricatto, per chi sa leggere gli artifizi diplomatici, sarebbe essenzialmente rivolta a Netanyahu.
Dietro le quinte, nelle segrete stanze della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, gli ‘adviser’ di Biden sanno che il vero ostacolo è proprio lui. Il premier israeliano sta sabotando le trattative di pace da sempre, perché pensa che il tempo giochi a suo favore. Il premier vuole arrivare alle Presidenziali Usa di novembre. Se arriva Trump, per lui è fatta. Almeno così ritengono i suoi ‘strategist’, non avendo ancora fatto i conti con la volubilità dell’inaffidabile candidato repubblicano. Ora Biden e Harris avrebbero fretta di chiudere, perché esibire il cessate il fuoco a Gaza, potrebbe dare un’eccellente spinta elettorale, negli Stati indecisi. Ma, intanto, il ritrovamento dei corpi dei 6 ostaggi israeliani trucidati, fatto sabato scorso, ha messo ancora più fretta alla Casa Bianca. Uno dei corpi è quello di Hersh Goldberg-Polin, di origine americana. Fonti di Tel Aviv parlano di una vera e propria esecuzione dei prigionieri, con un colpo di pistola alla testa. Ma nei blog arabi è tutto un fiorire di illazioni e di teorie “complottistiche”. In sostanza, la faccenda (dicono loro, è ovvio) non è assolutamente chiara.
E da parte palestinese s’invoca un’autopsia forense, eseguita da medici indipendenti, alla presenza di testimoni internazionali. Questo, per dirimere tutti i dubbi sulle circostanze delle morti e confermare, legalmente, le dichiarazioni sottoscritte ora solo dai patologi dell’esercito israeliano. Quella dell’esecuzione degli ostaggi da parte di Hamas, infatti, è una svolta traumatica, che potrebbe avere ricadute imprevedibili sullo stesso esito dei negoziati. L’analisi dei fatti che fa il Washington Post è realistica e drammatica, e lascia la porta aperta anche a ipotesi e a congetture angoscianti. Un alto funzionario Usa ha rivelato che le trattative erano a buon punto, quando, come una mazzata, è arrivato il ritrovamento degli ostaggi uccisi. A quel punto si è fermato tutto. Ci si è bloccati per l’ennesima volta, perché già in altre tornate, i colloqui avevano raggiunto un discreto punto d’accordo. Sembra che, quasi a orologeria, ci sia sempre pronto qualcuno (o qualcosa) a frenare l’intesa.
Questa volta Biden sembra ne abbia avuto abbastanza e ha chiamato le sue controparti, in Egitto e in Qatar, per rilanciare un nuovo piano di emergenza da “dentro o fuori”. Anche se i nuovi dettagli non sono stati resi noti, è improbabile che il progetto della Casa Bianca contenga proposte ‘rivoluzionarie’. Si va avanti, come al solito, inseguendo l’emergenza. Certo, il tempo lavora a favore di Netanyahu. Secondo gli analisti, più ostaggi vengono uccisi e meno urgente si fa, per lui, la preoccupazione di chiudere un accordo. Alla fine, non sarà qualche trentina di ostaggi a fargli accettare la pace per una guerra “incompiuta”, che è già costata la morte a oltre 40 mila palestinesi. Al limite, dovrebbero essere gli americani, i suoi grandi finanziatori, a imporgli la pace. Ma Biden e Harris non vogliono. O, peggio ancora, forse non possono. Kamala Harris, in particolare, per ora viene “promossa” a tutto spiano dalla Casa Bianca, dopo tre anni e mezzo di silenzio in politica estera, in cui si è praticamente nascosta.
Uno scomodo articolo di Eric Bazail-Emil, apparso su ‘Politico’, spiega tutto. L’ordine è quello di dare spazio a Kamala anche nelle relazioni internazionali. Argomento, sia chiaro, che per lei non è molto agevole. Non è la sua materia, insomma, ma bisogna dare agli americani l’impressione che qualcosa la candidata capisca, se no, che la votano a fare?
Ha scritto il Washington Post: “Nelle ore successive alla scoperta di questo fine settimana, Biden e la vicepresidente Kamala Harris hanno deciso di non fare pressioni politiche su Netanyahu per un accordo, scegliendo invece di condannare senza riserve Hamas, per avere preso la vita degli ostaggi, anche se gli israeliani criticano duramente Netanyahu. In dichiarazioni rilasciate sabato sera, sia Biden che Harris hanno incolpato Hamas senza mezzi termini e non hanno menzionato Netanyahu”.
L’intellettuale e docente ebreo Zvi Schuldiner, così analizza sul Manifesto la reazione popolare in Israele contro Netanyahu. «Avido di potere, una moglie che sembra avere un ruolo dominante, Netanyahu è tormentato dall’eventualità di dover tornare in tribunale e magari finire in carcere. La famiglia reale sembra una pallida copia della dittatura di Nicolae Ceausescu in Romania ma con il tocco aristocratico e la retorica ciarlatana per la quale noi viviamo in una cosiddetta ‘democrazia esemplare’».
La dottrina di Netanyahu, secondo la quale il sostegno economico a Hamas avrebbe calmato la situazione ai confini, non si riferiva solo alla Striscia di Gaza. Sosteneva di poter neutralizzare in tal modo gli slanci bellici o terroristici di Hamas, facendo intanto tutto il possibile per indebolire l’Autorità palestinese, certo guidata in modo problematico e corrotto dal cerchio di Abu Mazen. Una condotta per seppellire l’opzione di due Stati per due popoli, teoricamente accettata dal premier, ma solo per ammorbidire la sua immagine in politica estera.
Il gabinetto di sicurezza dovrebbe discutere la sicurezza dello Stato, ma riflette la preoccupazione del primo ministro per la sua sicurezza politica. Dopo l’abbandono del governo da parte di Benny Gantz e del suo partito, Netanyahu ha aggiunto alcuni poveri lacchè che si limitano a dire sempre sì, più che servizievoli.
Mentre sembrava che le trattative stessero avanzando e che un epilogo positivo fosse possibile, sia il problematico delle finanze Bezalel Smotrich, razzista ma efficace saccheggiatore di fondi pubblici a favore dei coloni nei territori occupati, sia l’altrettanto razzista ministro della polizia Itamar Ben Gvir hanno annunciato la volontà di abbandonare il governo in caso di raggiungimento dell’accordo.
I ministri del Likud servili per non perdere posto e potere, sostengono la linea estremista e di rottura certa sulla presenza militare permanente a Gaza, arrivate le prime voci, poi ufficialmente confermate: sei prigionieri sono stati uccisi da Hamas. A peggiorare le cose, tre di loro erano nella lista dei prigionieri che avrebbero dovuto essere rilasciati fra i primi, sulla base dell’accordo in discussione da settimane.
L’esplosione di furia contro Netanyahu è il frutto naturale della percezione popolare: gli ostaggi sono stati uccisi per colpa sua. Intanto, però, si parla di un sondaggio secondo il quale la maggioranza dei cittadini del paese preferirebbe gli argomenti di sicurezza di Netanyahu rispetto alla liberazione dei prigionieri. Cacofonia molto difficile da decifrare. Con diversi analisti che sostengono il pericolo di una guerra civile è effettivo e forte.
Tuttavia, ho l’impressione che la sopravvivenza politica del nostro grande e aristocratico Ceausescu non sia in pericolo. Purtroppo.