Questo è il tempo delle scelte

C’è una cantante e storica dal talento eccezionale che si poggia su una cultura notevole, popolare e gentile, non di massa e aggressiva: si chiama Letizia Fuochi. Su Polemos ne ho parlato scrivendo di Resistenza, anzi, del tessuto della Resistenza, di quell’insieme di azioni necessarie per non museificare la memoria, ma per renderla nutrimento della democrazia. Letizia, in un recente incontro a Chianciano, organizzato dalla nuova amministrazione comunale e dall’Archivio Calamandrei, ha continuato a ripetere che siamo nel tempo delle scelte. E cantando di uomini e donne che furono capaci di fare la loro scelta, con coraggio e ardore, ci ricorda che niente è per sempre e che siamo nell’epoca del fraintendimento, delle non scelte, del senso comune che crea assuefazione e ci chiude gli occhi, ci fa tollerare l’intollerabile, rende plausibile l’ingiustizia, dimentica. Continua a dimenticare come fosse un vivere adeguato, come se la semplice trasgressione di superficie, così mediatica e codificata, che non mette in discussione le efferatezze del tempo, bastasse a renderci moderni a farci vivere con un minimo di scopo. Like dipendenti, non importa se privi di etica e di valori, privi di quella visione sacra che guarda al futuro.

Il tempo delle scelte, già. Il tempo di capire che dobbiamo davvero batterci per il futuro. Sul campo e non su chat, perché potrebbe non restare niente delle nostre certezze culturali, della nostra idea di uguaglianza, di diritti sociali e civili. Potremmo fare tardi perché non siamo stati attenti. Perché abbiamo confuso le scelte repressive per scelte doverose, le scelte economiche per inevitabili, le parole d’ordine reazionarie per gaffe. E soprattutto, perché abbiamo confuso il dispositivo del potere, col suo corollario di sorveglianza e punizione, per il migliore e tecnologico dei mondi possibili.

Così, alla moda, colorati, super ribelli a partire dal marketing, dalle pubblicità, continuiamo a stare calduccio delle certezze che tutto prima o poi tornerà al suo posto, che tutto sarà come prima, con la nostra democrazia asimmetrica ma funzionale, con una certa giustizia figlia della Costituzione. Con le libertà, che i nostri padri hanno conquistato con le armi in pugno, scricchiolanti ma tenaci.

Invece no. È l’ora di destarsi dal torpore, di smetterla di pensare che la cultura, quindi la somma delle nostre conoscenze applicate alle scelte esistenziali, sia un reperto del passato inutile, sostituito bellamente dall’ignoranza come valore. Senza conoscenze, senza sapere, senza avere quel minimo di informazioni non resta che obbedire. Non resta che adeguarsi e sfruttare il poco sapere a disposizione per ottenere il massimo profitto senza alcun dubbio che possa essere minimo rispetto alla perdita di futuro e di bene comune.

Troppa complicità, anche moderna e intellettuale, non solo rozza e ignorante, con i distruttori della democrazia. Troppe persone che per comodità si girano dall’altra parte, che per un malinteso senso democratico danno spazio a tromboni voltagabbana e interpreti di questo regime culturale fascistoide che già di visibilità mediatica ne hanno assai. Cioè: dagli schermi parlano solo loro alla platea sonnecchiante. Dobbiamo dare loro anche le piazze, i nostri territori, i nostri paesi?

Credo di no. Occorre restare dalla parte di tutti quelli che si battono, giorno dopo giorno, per creare le condizioni per un mondo migliore. Per chi lotta per i diritti di tutti, per l’accesso al sapere, per la cultura popolare, per la pace, per il rispetto, per il bene comune, per una società senza discriminazioni, per fare del pensiero un’azione etica. E non cedere. Questo è il tempo delle scelte, ma di quelle vere. Dopo sarà più complicato riprendersi la democrazia. Questo è il tempo di dare battaglia a viso aperto in ogni spazio culturale, sociale e politico. Nei caseggiati, nei quartieri, nelle associazioni, nei paesi, nelle città.

Ognuno faccia la sua parte.

Tags: Polemos
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