
Quel luogo di culto dei Saami, più conosciuti come Lappóni, utilizzato per i loro riti pagani tra tumuli e labirinti, che dal ‘400 divenne tranquilla dimora di monaci cristiani, e agli inizi del secolo scorso venne trasformato in un orribile luogo di morte voluto e tenuto nascosto. Quei labirinti, testimonianza intatta dell’antichità, si scontrano col male voluto dall’uomo, oggi in parte cancellato ma mai dimenticato.
Le Solovki sono molto di più di isole selvagge, cariche di fascino dove sorgono bellissimi monasteri. Sono il luogo sacro dei cristiani di Russia. Sono il luogo del ricordo, della riflessione su un regime che tra il 1923 ed il 1939 le trasformò in un campo di lavoro: in un gulag, il primo in assoluto di tutta l’Unione Sovietica. Per raggiungere l’arcipelago delle Solovki si va incontro ad un eccitante viaggio nell’ignoto e ad un susseguirsi di emozioni.
Tutto inizia alla stazione Ladoga di San Pietroburgo salendo su uno dei pochi treni che fermano a Kem’ lungo la linea che porta alla città artica di Murmansk. Il lungo treno viaggia lento, sferraglia tra le immense ed incontaminate distese di betulle, tra un lago e l’altro, in una Carelia, gentile ma impervia, storicamente contesa. Ad avvisarci che siamo prossimi a Kem’ è la provodnitsa, la cuccettista che si occupa della vita della carrozza. Dalla stazione con un breve trasferimento in marshrutka (il taxi collettivo) si arriva all’isolato imbarcadero di Rabocheostrovsk. L’atmosfera è surreale. I pontili sono ancora in legno, gli stessi utilizzati dai deportati (italiani compresi) che, stanchi, affamati e infreddoliti, attendevano ore prima di essere imbarcati e trasportati alle Solovki.
L’obsoleta motonave Metel-4 è stracarica di pellegrini, ha già i motori accesi, pronta per affrontare la navigazione di tre ore nelle gelide, scure e burrascose acque del mar Bianco. Cullati da un lento rollio della barca, quasi all’improvviso ecco all’orizzonte le otto torri ed i quattordici campanili del monastero delle Solovki. Un’immagine che fa ritornare alla mente ciò che scrisse il poeta austro-boemo Rainer Maria Rilke: “la Russia è il Paese che confina con Dio” e, aggiungiamo, “le Solovki ne sono la chiara dimostrazione”.
Appena sbarcati basta qualche minuto per capire che alle Solovki, quel luogo dove l’asfalto non è mai esistito, la vita è stata, e lo è tutt’oggi, dura, difficile, complicata. In un arcipelago formato da cento isole, solo sei sono abitate. La presenza massima, mille persone, viene raggiunta in estate con il ciclico arrivo dei pellegrini-viaggiatori. Nei restanti periodi dell’anno, custodi delle isole sono i monaci e qualche anziano nostalgico.
Sull’isola grande sorge da più di 1500 anni l’imponente monastero. Ritornato ad essere il centro della vita spirituale dei russi e oggi uno dei cremlini, delle fortezze più settentrionali della Russia, che la rivoluzione del 1917 aveva trasformato nel quartier generale del primo gulag dell’Urss.
Quando da Mosca arrivò il decreto firmato da Lenin di riconvertire il monastero in uno ‘Slon’, acronimo di ‘Solovki Lager Osobogo Naznachen, “campo per scopi speciali”, le Solovki divennero il simbolo dei campi di sterminio, di orrore, di morte.
I primi ad essere deportati, accusati di aver contravvenuto all’articolo 58 che puniva le «attività controrivoluzionarie», furono i prigionieri politici, centinaia di anarchici, socialisti e menscevichi. Successivamente toccò al clero ortodosso, al quale si aggiunsero ben presto prigionieri comuni, operai, intellettuali filoccidentali, contadini ed aristocratici.
I numeri della crudeltà non sono certi ma quelli più vicini alla realtà parlano di quasi un milione di transiti in sedici anni. Addirittura 250mila i decessi. La storia racconta che i detenuti delle «isole del terrore» venivano schiavizzati per la costruzione del Belomorsko-Baltiski Kanal.
Oggi alle Solovki, culla delle antiche tradizioni russe, esistono solo alcune baracche, qualche tratto di filo spinato arrugginito ma nessuna traccia del gulag. Come raccontano i pochi sopravvissuti ancora in vita, alle Solovki non si contano gli anni bensì gli inverni. Sull’isola grande sorgono alcune strutture ricettive per i pellegrini, una scuola, un ospedale (quindici posti letto), uno studio dentistico e una farmacia.
Noleggiando una bicicletta, unico mezzo disponibile, si possono fare escursioni indimenticabili nella natura incontaminata esplorando percorsi sterrati che hanno segnato la storia della Solovki. Da un eremo all’altro, da un colle all’altro, tra canali e laghetti. Destinazione obbligata è il monte Sekirnaya. Luoghi mistici e remoti, l’eremo Savvatievskiy, tranquillo orto dei monaci, e l’isola di Anzer dove ancor oggi vige uno statuto di preghiere molto rigido.
A Mosca dal 1990, sulla famosa piazza della Lubianka (fino al 1991 piazza Dzerzhinskij) a pochi passi dell’imponente palazzo sede del KGB e dal rinnovato ‘Detsky Mir’ (il ‘mondo dei bambini’), c’è ‘La pietra Soloveckij’, una roccia presa dalle Isole Soloveckie, parte del sistema sovietico dei Gulag in onore delle sue vittime.