Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, rispondendo ad una domanda sull’arresto in Francia del patron di Telegram, Pavel Durov, ha dichiarato che “i rapporti tra Mosca e Parigi sono al punto più basso, anche a causa della posizione che Parigi assume sulle questioni della libertà di parola, sulla libertà di diffusione delle informazioni e in generale sulle questioni del rispetto della professione di giornalista molto prima degli eventi attuali”. Il presidente della Duma, Viaceslav Volodin, ha accusato gli Usa di essere “dietro l’arresto” del patron di Telegram, Pavel Durov, “Alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, è importante per Biden prendere il controllo di Telegram”, ha dichiarato il presidente del ramo basso del Parlamento russo senza fornire prove a sostegno delle sue parole. Il capo dei servizi d’intelligence russi per l’estero, Serghei Naryshkin, ha detto di non aspettarsi che Pavel Durov, accetterà di fornire informazioni sensibili per Mosca ai Paesi occidentali dopo il suo arresto a Parigi”.
L’indagine francese su Durov, concentrata sulla assenza di moderatori su Telegram (nessun filtro preventivo anche rispetto a istigazioni di reati), e l’ordine di cattura per la ‘scarsa collaborazione con la polizia’. Rifiuto di fatto a collaborare con i governi (che poi scopriremo assieme, non è stato sempre vero). Sull’arresto di Durov, la cui carcerazione preventiva sta per scadere, e risposta a stretto giro di posta. Telegram afferma di «rispettare» le leggi della Ue e di svolgere la sua attività in modo «conforme agli standard del settore». «E’ assurdo affermare che una piattaforma o il suo proprietario siano responsabili per l’abuso di tale piattaforma».
Secondo il New York Times, da quando è nato nel 2013 Telegram è diventato uno dei più grandi strumenti di comunicazione online al mondo. La crescita dell’azienda, con più di 900 milioni di utenti, è stata in parte favorita dall’impegno per la libertà di espressione. La promessa di non-supervisione su ciò che le persone dicono o fanno sulla piattaforma ha aiutato le persone che vivono sotto governi autoritari a comunicare e organizzarsi Al tempo stesso, l’assenza di qualsiasi filtro, ha reso l’app un rifugio per disinformazione, estremismo politico e altri contenuti pericolosi se non apertamente criminali. Sulla guerra della Russia in Ucraina, alcuni analisti hanno definito l’app «Un campo di battaglia virtuale».
Il fondatore di Telegram ha lasciato la Russia nel 2014 dopo essersi rifiutato di chiudere le comunità di opposizione sulla sua piattaforma di social media VKontakte, poi costretto a cedere. Durov è diventato cittadino francese nell’agosto 2021. Si è trasferito con Telegram a Dubai nel 2017 e, secondo i media francesi, ha anche ricevuto la cittadinanza degli Emirati Arabi Uniti. La Russia ha iniziato a bloccare Telegram nel 2018 dopo che l’app si è rifiutata di obbedire a un ordine del tribunale di concedere ai servizi di sicurezza dello Stato l’accesso ai messaggi crittografati dei suoi utenti. L’azione ha avuto scarsi effetti sulla disponibilità di Telegram in Russia. La crescente popolarità di Telegram ha spinto anche diversi Paesi in Europa, tra cui la Francia, a esaminare con maggiore attenzione la situazione sicurezza e violazione dei dati.
Telegram è un’app di ‘messaggistica standard’, come WhatsApp o Signal, ma ospita anche canali e gruppi. La popolarità di Telegram è in gran parte dovuta all’aver aperto lo spazio a gruppi fino a 200.000 persone, e la condivisione di file di grandi dimensioni. La scelta compiuta, ha fatto di Telegram anche un rifugio per individui e gruppi che erano stati banditi da altre piattaforme come Twitter e Facebook. Poi la crittografia a tutela della riservatezza. «La crittografia è uno degli strumenti più potenti nel mondo digitale, offrendo protezione e sicurezza. Telegram, è nota per la sua robusta infrastruttura crittografica. Tuttavia, l’adozione di questa tecnologia solleva questioni complesse e controverse, che vanno dall’uso criminale alla protezione della privacy individuale e il supporto alle forme di dissenso in regimi autoritari» spiega Fabrizio Fiorini, esperto di cybersecurity e docente all’Università degli Studi di Milano-Bicocca su Avvenire.
I misteri stessi dell’arresto di Durov affrontati da Luigi De Biase sul Manifesto. La possibilità di un arresto concordato per ‘discutere’ di sicurezza informatica da usata da gruppi terroristici. Un esempio per tutti. Nel 2017 un tale di nome Akbarzhon Jalilov si è fatto esplodere nella metro a San Pietroburgo uccidendo quindici persone in nome di al Qaeda. Jalilov era stato addestrato nei campi dello stato islamico in Siria, e avrebbe colpito in Russia per ordine diretti di Ayman al Zawahiri, il successore di Osama bin Laden. Passaggi ricostruiti dagli investigatori dopo l’accesso al suo account Telegram. Segno che, di fronte a precise circostanze, anche Durov era pronto a discutere le sue prerogative.
«Chi comunica con chi, quando, con quale frequenza, di che cosa e in quali circostanze sono informazioni che il potere – nelle sue articolazioni, sia pubbliche, sia private – ha sempre desiderato possedere», sottolinea il professor Juan Carlos De Martin, del Politecnico di Torino. «Due pulsioni, quella di tutto conoscere e quella di tutto controllare, rese ancora più intense in periodi di guerra o, comunque, di tensioni politico-sociali». Contro le fondamenta del vivere civile, dalla libertà di espressione, alla libertà di stampa, di associazione, segretezza della corrispondenza, protezione dei dati personali. «Ogni nuova invenzione cambia lo scenario socio-politico: lo ha fatto la stampa a caratteri mobili, e poi lo hanno fatto le poste moderne, il telegrafo, il telefono, i quotidiani ad alta tiratura, il cinema, la radio, la televisione, per arrivare, negli ultimi trent’anni al PC, al telefono mobile e a Internet».
La retorica sulla «democraticità di Internet, del PC e dei social media», ma la diffusione planetaria dello smartphone e dei ‘social’ ha rafforzato in maniera assoluta la capacità del potere (poteri pubblici ma, ancor più, privati) di conoscere e controllare. Lo smartphone, è una efficientissima macchina di sorveglianza, che registra non solo la posizione e i movimenti, ma anche ogni uso del dispositivo, e ogni campo di interesse personale. «È da questa prospettiva che dobbiamo considerare il duopolio Apple-Google dei sistemi operativi per smartphone e i casi di Musk, Zuckerberg, TikTok e, oggi, di Pavel Durov», insiste De Martin.
Domanda chiave del professore che facciamo nostra, «Evitando sterili tifoserie pro o contro, chiediamoci chi controlla due aspetti cruciali delle nostre democrazie: la sorveglianza continua delle persone e i flussi di informazione? In Europa abbiamo scelto di provare a regolare i grandi attori privati (pressoché tutti non europei). Data la clamorosa asimmetria tra il potere e le persone, è giunta l’ora di rivendicare la realizzazione di smartphone e di spazi pubblici digitali molto più trasparenti e molto più rispettosi dei diritti e delle esigenze degli utenti».