Ciao Boban, storico producer di Rai Balcani
Boban Radovanovic se n’è andato, e sembra quasi ridicolo che sia avvenuto per una pur dolorosa malattia. Lui che la morte l’aveva quasi corteggiata tante volte per la passione di quel mestieraccio che per una quindicina d’anni abbiamo condiviso. Lui, il serbo che lascia Belgrado e passa i quattro anni di assedio nella Sarajevo bersaglio. È lì che ci siamo conosciuti e da dove è partito il connubio di lavoro che portò alla creazione della Corrispondenza Rai dai Balcani. La Bosnia dei tanti fronti di guerra dove riuscivi a portarci, spesso ‘Territorio Comanche’ da cui ci ha salvato la buona sorte.
E dopo Sarajevo, a insistere su qualcosa d’altro e di peggio che si stava preparando nell’allora Jugoslavia. Riuscimmo ad aprire un ufficio Rai in ‘Ulica Andre Nicolic dva desset pet’ a Belgrado. Un utile esilio per un rompiscatole circondato da altri matti. Quando la Nato decise -come temevamo- di bombardare per tre mesi una capitale europea, a Roma, molti si gloriavano della scelta di essere stati ‘noi Rai’, i primi, sempre presenti, dal primo minuto.
‘Loro’ caro Boban, con ‘noi’ sul campo: tu, Miki Stojicic, Marina Marcov e poche persone amiche accanto, a raccontare giorno e notte delle ‘bombe umanitarie’ che partivano dall’Italia ed esplodevano attorno. Ricordo l’accampamento che avevamo organizzato in sede, dove anche tu dormivi, perché non c’era orario anche per le ‘visite’ della polizia militare, ed io con la valigetta sempre pronta accanto alla scrivania, in vistas di una espulsione e peggio, di galera.
Ma Boban non eri tanto e soltanto il complice matto di mille avventure. Eri persona, colta, riflessiva, buona e generosa. Eri il ‘fattore positivo’ in ogni gruppo che si formava. Per me sei stato l’amico imprescindibile in ogni nuova sfida. Tutti i Balcani, da Sarajevo al Kosovo e guerre monori attorno. E poi la Baghdad del fu Saddam Hussein, e infine, già reporter un po’ datati, l’avventura Afghanistan a ritrovare Gino Strada e ad anticipare le truppe americane.
Quante avventure Bobo! E quante altre abbiamo da raccontarci quando ti raggiungo. Intanto un abbraccio, perché non riesco più ad andare avanti. Il mio vecchio vizio della commozione facile, come quando dalle cantine rifugio della Tv di Sarajevo, con i ragazzi della città assediata, abbiamo fatto piangere in diretta Papa Woytila, ed io, col groppo alla gola, non riuscivo più a parlare. Ora mi si intrecciano le dita sulla tastiera.