Striscia di Gaza, dove non si raccontano mai tutti i capitoli della storia

«Eschilo più di duemila anni fa sosteneva che la prima vittima della guerra è la verità. Qualcuno direbbe oggi che la certezza del grande drammaturgo greco fa concorrenza con la politica e che i due fattori insieme -guerre e politica-, possono essere superate raggiungono soltanto dall’Intelligenza artificiale o dall’uso che se ne fa nel settore giornalismo e nell’informazione». Eric Salerno, ‘professione reporter’ da una vita.

Teatrino tragico di ferragosto

La mattina del 13 agosto, di buon’ora, i colleghi di una radio che volevano capire i pericoli che si correvano in Vicino Oriente mi hanno chiesto in diretta di analizzare il balletto di parole che si svolge sul palcoscenico del teatro tragicamente più attivo, direi più vivace, del mondo di oggi.

Attacco iraniano o non attacco, Libano o non Libano?

Guerra o non guerra, attacco o non attacco, subito, entro 24 ore o dopo, limitato o esteso: tutte possibilità, nessuna certezza. Le carte in tavola cambiano in continuazione e sono parte del grande gioco che, purtroppo, coinvolge in negativo giornalisti e media di mezzo mondo. Mai come nei tragici dieci mesi da quando i militanti palestinesi di Hamas hanno sferrato l’attacco feroce alle comunità israeliane lungo la frontiera con Gaza, il mondo dell’informazione è stato costretto a raccontare e analizzare senza vedere.

Analizzare senza vedere

I più anziani di noi, forse, sono capaci di offrire spiegazioni e giudizi basati sulla storia degli ultimi settanta anni. Qualcuno si addentra nelle vicende del secolo precedente: quello del marxismo, del colonialismo, del sionismo per cercare di capire e giudicare gli eventi di oggi. I fatti o gli annunci spesso contradittori che piovono in tempo reale nelle redazioni sono spesso sound-bit difficili da analizzare; dichiarazioni lanciate per confondere le idee non tanto ai media quando ai consumatori dell’informazione.

Terre palestinesi vietate

Il governo israeliano non consente ai giornalisti occidentali di entrare nella striscia di Gaza e limita il loro lavoro in Cisgiordania dove, coloni ebraici e militari devastano giorno dopo giorno il territorio palestinese occupato, uccidono e feriscono ‘terroristi’, lavorano per realizzare il sogno di eliminare ogni possibilità di veder nascere accanto a Israele uno stato palestinese indipendente.

Guerra a colpi di parole

Ma torniamo alla guerra di parole, allo scontro che vede tristemente impegnato il mondo dell’informazione costretto a partecipare al grande gioco delle incertezze. Alla vigilia di Ferragosto sul quotidiano Haaretz un commento: “A poco a poco, nell’undicesimo mese di guerra, stiamo normalizzando tutto: la morte di prigionieri, il continuo bombardamento nelle comunità settentrionali, gli sfollati senza fine degli israeliani lungo i confini di Gaza e del Libano, la condanna internazionale e il crescente costo per l’economia”.

Dire qualcosa, mai dire tutto

Il giornalista israeliano che scrive condanna Netanyahu e la sua politica ma evita -come la maggioranza dei giornalisti israeliani-  di parlare degli oltre quarantamila morti palestinesi, evita di raccontare i bombardamenti che hanno praticamente distrutto il sessanta per cento delle strutture -case, uffici, ospedali- nella Striscia.

L’immemore presidente Herzog

Nelle stesse ore, il presidente di Israele lancia un messaggio: “Mentre Israele e i nostri servizi di sicurezza rimangono in massima allerta, voglio esprimere il mio apprezzamento e ringraziamento ai nostri alleati che sono uniti con noi di fronte alle minacce piene di odio del regime iraniano e dei suoi delegati terroristici”. Sono anni che Teheran e Tel Aviv sono ai ferri corti, ma il presidente Herzog evita accuratamente di ricordare che sono stati i servizi segreti israeliani a uccidere il leader di Hamas mentre era in visita nella capitale iraniana, ospite di riguardo di quel paese. Un affronto, non certo un gesto di distensione, in un momento in cui una guerra devastante per tutti rischia di scoppiare.

Netanyahu tra potere e galera

Sono un paio d’anni, almeno, che una parte di Israele vuole eliminare Netanyahu dalla scena governativa e politica. È accusato di corruzione e di altri reati che sono sufficienti, se condannato, a mandarlo in galera: molti israeliani sostengono che la guerra di Gaza va avanti solo, o soprattutto, perché il premier vuole impedire alle autorità giudiziarie di portare avanti i suoi processi. È possibile, forse probabile, ma la grande stampa occidentale si mette troppo spesso a disposizione del complesso ma ormai palese gioco delle parti.

‘A quasiasi costo’. Pagato da chi?

A Netanyahu e a una parte dei suoi avversari politici non dispiacerebbe trascinare gli Stati Uniti in una guerra contro l’Iran anche se significherebbe, sicuramente, un conflitto allargato a buona parte del Medio Oriente, bombe e missili di Hezbollah sul cuore di Israele e la probabile distruzione del Libano come stato.

Troppo spesso la stampa, non solo italiana, si lascia trascinare nel gioco e invece di tentare di capire e spiegare si limita a pubblicare un elenco cronologico delle notizie e lascia ai consumatori dei media lo sforzo di tentare di comprendere. Posso solo immaginare quando al balletto di oggi si aggiungerà quello, sofisticato e confuso, dell’AI.

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