La prossima guerra mediorientale sarà per l’acqua

‘Guerra dell’acqua’: Turchia contro Irak, Siria e Iran. In Anatolia hanno origini due fiumi leggendari, il Tigri e l’Eufrate, il percorso delle origini della civiltà a partire dal ‘Paradiso terrestre’ che sarebbe nato alla foci congiunte dei due fiumi. Oggi vitale riserva idrica di gran parte del Vicino Oriente. Le 600 dighe turche. Le dighe degli Ayatollah. Acqua turca per ‘affogare’ i curdi. Diplomazia con l’acqua alla gola.

Alla ‘Guerra dell’acqua’ la Turchia contro tutti

La Turchia finora ha costruito circa 600 impianti idroelettrici, e di fatto sta usando tutta l’acqua possibile attraverso un esercito di dighe di ogni dimensione. Così, a valle delle centrali, i fiumi diventano rivoli asfittici. Non sempre, è ovvio. Dipende dalla stagione e da quanta acqua i turchi hanno deciso di utilizzare. Perché, agli altri, arriva quella che loro hanno stabilito che debba arrivare, anche in base ad accordi e a ‘gentlemen’s agreement’ che, come capita tra mercanti, sono fatti per essere violati.

GAP, Anatolia sud Orientale

La situazione, che era già allarmante, si è fatta disperata dopo che i turchi hanno realizzato un piano infrastrutturale faraonico: il GAP, acronimo di “Progetto per l’Anatolia Sud-orientale”. Cioè, 22 dighe (mastodontiche), 19 centrali idroelettriche e un sistema per l’irrigazione di 70 mila Km2 di territorio. La crisi idrica è diventata grave anche in Siria, dove qualche analista addebita la ‘Primavera araba’ del 2012 non solo alle rivendicazioni nel campo dei diritti civili, ma anche a una ‘rivolta per il pane’ scatenata dai prezzi fuori controllo dei prodotti agricoli. Inflazione da carenza dei prodotti, a sua volta provocata dalla siccità o dalla mancanza d’acqua.

Poca acqua o acqua sprecata?

Si tratta di due concetti diversi, più volte espressi (anche come alibi) dai funzionari turchi, i quali sostengono che l’acqua del Tigri e dell’Eufrate viene fatta passare in quantità sufficiente, ma sono gli altri Paesi che non la sanno stoccare e distribuire. Certo, nel caso dell’Irak la giustificazione regge fino a un certo punto. Il premier al-Sudani è un ingegnere agricolo di formazione e il Presidente della Repubblica, Abdul Latif Rashid, un ingegnere che è stato Ministro delle Risorse idriche tra il 2003 e il 2010, e che ha lavorato per i progetti FAO in tema di nuove coltivazioni. L’Irak ammette i suoi punti critici, a cominciare dall’inefficienza della rete di distribuzione. Ma chiede, allo stesso tempo, un impegno di Ankara per aumentare i volumi dell’acqua che residua dalle dighe turche e che scorre a valle verso Siria e Irak. Il Presidente Erdogan ha colto al volo l’occasione offertagli dalla ‘crisi dei fiumi’, per rilanciare la sua strategia di riavvicinamento con Baghdad, in funzione anti-curda.

Acqua turca per ‘affogare’ i curdi

Con la sua visita di Stato dello scorso aprile e manovrando a orologeria i rubinetti dell’acqua, Erdogan è riuscito a ottenere significative concessioni da parte degli irakeni. E proprio in questa settimana, Ankara e Baghdad hanno firmato un accordo di cooperazione militare, lungamente atteso, per cogestire la grande base di Bashiqa, nel nord dell’Irak. Ma la parte più significativa del patto, prevede la costruzione di un Centro unico di comando, in un’altra sede, che sarà gestito in primis dall’esercito di Erdogan. Servirà a dare la caccia ai guerriglieri curdi del PKK, con la copertura formale delle forze armate di al-Sudani.

Diplomazia dell’acqua verso l’Iran

La ‘diplomazia dell’acqua’ funziona come ponte trasversale, in un certo senso, anche verso l’Iran. Infatti, ai colloqui di Ankara, dove si discuterà della sistemazione “di sicurezza” del nord iracheno, saranno presenti anche le milizie di Falih all-Fayadh, sponsorizzate dagli ayatollah. In una conferenza stampa congiunta, i due Ministri degli Esteri, Hakan Fidan (Turchia) e Fuad Hussein (Irak) hanno assicurato che la base di Bashiqa “diventerà un centro comune di addestramento militare”. Un altro importante progetto strategico infrastrutturale, che i due Paesi stanno portando avanti, riguarda il cosiddetto ‘corridoio secco’ o “strada di sviluppo’, un faraonico piano da 17 miliardi di dollari che dovrebbe collegare il porto di Al-Faw, nel Golfo Persico, ai terminali turchi. L’opera, realizzata lungo assi viari e ferroviari, è finanziata tra gli altri dal Qarar e dagli Emirati Arabi.

Le dighe degli Ayatollah

E andiamo all’Iran, il vero osso duro di tutta quest’area. Gli ayatollah non vogliono sentire ragioni e vanno avanti costruendo dighe di tutti i tipi. Nel 2018 ne avevano 650 e altre 109 erano programmate. Coi turchi sono arrivati più volte ai ferri corti, specie per quanto riguarda i flussi d’acqua del Tigri che scorre in parte ‘in casa loro’. Ad Ankara però accusano gli ayatollah di non avere riguardo per nessuno dei vicini, quando si tratta di sfruttare i loro fiumi. E fanno i nomi dell’Ares e del Karkheh, dove gli iraniani hanno piazzato dighe che sembrano idrovore. La mancanza d’acqua, in una regione cronicamente assetata e durante un’epoca di sconvolgenti cambiamenti climatici, può diventare una ragione per fare la guerra vera.

Diplomazia con l’acqua alla gola

Secondo Arif Keskin, analista di relazioni turco-iraniane, “questi due Paesi sono arrivati a scontrarsi su una miriade di questioni negli ultimi anni, dalle guerre d’influenza in Siria e in Irak fino ai rifugiati e alla lotta al terrorismo. Il problema dell’acqua, tuttavia, è diverso da qualsiasi altro. Ha il potenziale per intensificarsi e mettere ulteriormente a dura prova i legami bilaterali”.

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