Sul dissenso arcaico e poetico

Quando origina il principio del dissenso? Quando il consenso si spezza in una visione spiazzante, in un pensiero critico e controcorrente? In un tempo lungo, così la vedo. Il tempo delle radici. Il tempo in cui nutrire memoria, in cui riportare al cuore piccoli sogni, sorrisi, inciampi che sono chiusi da qualche parte in attesa di fiorire, di costruire questa strada in cui l’idea banale del consenso si spezza.

“In un tempo di ricerca del consenso (compiacimento, compiacere e dunque conformismo) la parola della filosofia è dis-senso” [Lucio Saviani].

La parola filosofica, così come la parola poetica. Quando la poesia svolge il ruolo anarchico di sabotaggio. Quando spiazza con il suo inatteso le regole di ciò che ci aspettiamo, banalmente ci aspettiamo. Quando è arcaica, fuori dalla storia. Capace di innalzare il dialogo a un tempo non banale ma sacro. Quando non dice, non dichiara, ma solleva lo sguardo. Accende una lucina, crea un inciampo. Tace, quando non si può dire.

Parliamo di trasgressione? Per fare che? Nella società dello spettacolo tutto è trasgressione, quindi niente è più conformista.

Ho in mano il libro di un monaco di Sant’Antimo, prezioso dono di due amici del cuore. David Jones scrive poesie. Con una dolcezza estrema: “Sopra una pagina una parola non invecchia, non appassisce un pensiero”. Parla delle persone che incontra, tra un canto gregoriano e una preghiera alla stella mattutina, quelle nelle “salde grinfie della morfina del frastuono”. E scrive che esiste “qualcos’altro sulla terra che l’immischiarsi, un cielo distante di pensieri non uditi, non conosciuti -aldilà di questa porta di umanità solitaria un intero cosmo si culla sopra una piccola anima dannata”.

Il monaco mette in dubbio la banalità delle cose che sembrano far parte di un dispositivo idiota. Di narcisismo minore, per sentirsi parte del gregge. Lo fa col suo amore arcaico per il divino. Per la sua fiducia che oltre il frastuono esista uno spazio spirituale in cui tacere, in cui pregare. Immagino che il giudizio della cultura di massa possa farsi beffarde risate per questo povero scemo in tonaca, per questo piccolo uomo che crede in un valore e non nella mercificazione di tutto, poesia e cultura.

Ecco, io amo quel monaco. Come le suore di clausura di Tuscania, capaci di restare un mese in silenzio e meditazione, mentre fuori i ruggenti accaparratori di profitti ululano al tempo, di fretta e di crudeltà, per raccontarci e raccontarsi che questo dispositivo sociale, politico, bellico, economico, è l’unico possibile. E che per difenderlo occorre fare guerre, per mantenerlo, come forma primaria di libertà, occorre rinunciare a tutto, alla libertà stessa, all’arte, alla bellezza, in cambio del controllo sociale.

Così va il mondo, conclude il barbiere filosofo e anarchico: mi piace quando il tuo dissenso ti porta sulle strade poco battute, arcaiche e imprevedibili della vita.

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