Dopo gli avvertimenti lanciati dal portavoce della Casa Bianca, John Kirby, sulla necessità assoluta di mettere termine ai combattimenti di Gaza, ieri nuovo scontro (indiretto) tra americani e israeliani. Dall’ambasciatore Usa, Jack Lew, un comunicato di fuoco per condannare un violento attacco portato da un’armata di coloni (pare più di cento) a Jit, un tranquillo villaggio palestinese della Cisgiordania. Secondo quanto scrive Haaretz, “i coloni hanno aperto il fuoco sui residenti palestinesi, incendiando veicoli e case e lanciando pietre”. Ci sono stati un morto e un paio di feriti. L’esercito israeliano, che avrebbe dovuto fermare gli estremisti, è arrivato dopo un’ora e come scrive Haaretz, citando dei testimoni, “ha lasciato fare”. Insomma, i soldati complici con gli assalitori, tanto è vero che c’è stato un solo arresto. Una persona, tra l’altro, subito rilasciata dopo la mattanza. Questa volta, però, i coloni hanno veramente esagerato. E l’ambasciatore Lew, che evidentemente deve aver ricevuto dal Dipartimento di Stato il segnale per reagire, si è detto “inorridito per l’attacco” e ha chiesto “che i criminali siano chiamati a rispondere delle loro azioni”.
Per fortuna, Lew non aveva ancora sentito il commento, sui fatti di Jit, espresso dal Ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir. Il bellicoso esponente politico di “Potere ebraico”, semplicemente si è scagliato contro l’esercito israeliano, colpevole, a suo dire, di non avere il coraggio di sparare “ai palestinesi che tirano le pietre”. Per questo, sostiene cotanto delirante personaggio, i coloni poi vanno a farsi giustizia da soli. Messo alle strette dalla reazione americana, anche Netanyahu ha condannato l’accaduto e ha promesso severe punizioni. La stessa cosa ha fatto Benny Gantz, leader del Partito di Unità Nazionale, che ha parlato di gente “che mina i principi dell’ebraismo”. A sorpresa, forse fiutando il clima sfavorevole, pure il “duro” Bezalel Smotrich, il Ministro delle Finanze supporter di tutti gli estremismi, ha criticato la violenza dei coloni. Nel frattempo, i rapporti tra la Casa Bianca e il governo israeliano vanno avanti a scossoni, influenzati dalle vicende di politica interna nei rispettivi Paesi.
In questi ultimi giorni poi, dopo le polemiche seguite alle continue provocazioni fatte dai ministri dell’area messianico-nazionalista, gli americani sono diventati, almeno a parole, pesantemente critici verso Netanyahu. Certo, le chiacchiere non cambiano nulla, visto che la strategia di riarmare fino ai denti gli israeliani continua imperterrita. Ma i toni, almeno nel clima delle relazioni internazionali, qualcosa contano. E di questi tempi Washington comincia ad alzare la voce. Dunque, anche questa volta, come abbiamo visto proprio nella fase più delicata dei colloqui di Doha per il cessate il fuoco, i coloni della Cisgiordania sono partiti all’attacco dei residenti palestinesi. È una storia vecchia, ignobile e fin qui abbondantemente digerita dall’Amministrazione Biden (e dall’Unione Europea) che a parte qualche flebile lamento d’ordinanza, e pochi spiccioli di sanzioni (a un paio di malandati estremisti) non ha fatto registrare nessuna “incrollabile” presa di posizione. Ma adesso tira un vento diverso. Vento di elezioni presidenziali americane e il galateo del “buon candidato” esige un minimo di reazioni equanimi. Se no, che mediatori si sarebbe?
Così, detto fatto, gli ordini partiti dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato sono quelli di censurare, col pugno di ferro, le “prodezze” dei bellicosi coloni contro i palestinesi dei Territori occupati. Diventati gli agnelli sacrificali di un confronto impari, dove estremisti assatanati da un suprematismo ottuso vanno a caccia di agricoltori, pastori e operai, che hanno il solo torto di essere arabi, per farli scappare. Dalle loro terre. E, mano a mano che si guastano i rapporti tra Biden e Netanyahu, cominciano a venire a galla storie truculente sull’occupazione israeliana, che prima (chissà perché) difficilmente arrivavano sulla stampa internazionale.
È di qualche giorno fa un report sconvolgente, pubblicato dal prestigioso giornale The NewYorket, che si occupa del trattamento dei prigionieri palestinesi nelle galere israeliane. Isaac Chotiner spiega con crudezza fatti e circostanze che lasciano sconcertati, ma che soprattutto inducono pesanti e dolorose riflessioni sulla compatibilità di un sistema democratico con le proclamate necessità di “sicurezza dello Stato”.
Certo, è un dilemma lacerante da risolvere in determinati “turning point” della storia, ma comunque sempre da affrontare e mai da narcotizzare. Perché una grande democrazia rimane tale anche e soprattutto nel momento del pericolo.