Pakistan, il paese con bombe atomiche più pericoloso al mondo

Chi pensava al paffuto Kim coreano sbagliava. In Pakistan, il governo controlla il paese tramite una pervasiva presenza di esercito, brogli elettorali e violenze diffuse, la premessa di Limes. «La nazione è allo sbando, divisa tra chi scappa e chi resta, protestando o prendendo le armi – la premessa di Francesca Marino-. Sbarazzarsi del partito di Khan è la punta dell’iceberg delle numerose fratture pakistane. Ma potrebbe condurre a una guerra civile».

L’attuale e contestatissimo primo ministro pakistano Shehbaz Sharif,

Sull’orlo della guerra civile

«Il governo pakistano, o meglio, l’esercito che ne muove le fila, sembra deciso a bandire il ‘Pakistan Tehreek-e-Insaf’ (Pti) e a chiudere i conti una volta per tutte con l’ex primo ministro Imran Khan che del partito è stato il fondatore. Gira voce, inoltre, che Khan, attualmente in galera per una miriade di reati veri o presunti – nonostante sia stato ufficialmente assolto da molti – potrebbe essere accusato di tradimento per le sommosse seguite al suo arresto nel maggio 2023». Accuse sciolte, giudici sotto pressione, e una guerra civile alle porte. Ma la cosa non sembra preoccupare più di tanto il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif, e lo schieramento ai suoi ordini.

I peggiori brogli del peggior governo, ma filo occidentale

«Il fatto è che il governo, eletto con uno dei peggiori e peggio occultati brogli elettorali della storia di un paese in cui le frodi elettorali sono la norma, è stato gettato nel panico da una decisione della Corte suprema che assegnava al Pti 23 seggi rimasti vacanti in parlamento, privando così il prode Sharif e la sua armata di litigiosi alleati della maggioranza di due terzi necessaria a governare senza problemi». Francesca Marino severa, ma con molto buone ragioni visto che dal possente e democratico blocco occidentale, nessuno sembra essersi accorto che le Usa super potenti in testa, sembra essersi accorto che le elezioni le aveva vinte platealmente quell’Imran Khan, un po’ troppo filo cinese, e ora incarcerati a messo ‘fuori legge’. La legge del taglione.

Sbandati e incapaci mentre la Cina è in casa

Governo senza una qualsivoglia linea politica coerente. Come il lancio, lo scorso maggio, dell’operazione “Azm-e-Istehkam”, o “Resolve for Stability”, operazione per “combattere le minacce dell’estremismo e del terrorismo in modo completo e decisivo”. Aria fritta a cercare di calmare Pechino, ‘irritata’ per i numerosi attacchi contro cittadini e infrastrutture cinesi avvenuti nei mesi scorsi in Pakistan. E i progetti del China-Pakistan Economic Corridor, che sembrano sfumare assieme al legittimo governo di Imram Khan. Mentre resta il pauroso conto di un terzo del debito estero totale del Pakistan. Con la Cina che avrebbe chiesto al Pakistan di saldare i pagamenti in sospeso – pari a 1,8 miliardi di dollari dovuti ai produttori di energia elettrica cinesi -, di adottare misure attive per semplificare i pagamenti futuri e di consentire agli investitori di convogliare in Cina i profitti dei loro investimenti.

Durante la sua visita in Cina dello scorso febbraio, l’incapace Sharif avrebbe chiesto a Pechino nuovi prestiti e più tempo per ripagare i debiti su cui Pechino intende rivalersi con l’Organizzazione della Cooperazione Islamica. Sintesi letteraria, «L’amicizia dolce come il miele e profonda come il mare tra i due paesi naviga difatti ormai da tempo in acque melmose e comincia a sapere d’aceto».

Fazioni armate esterne e i ‘talebani buoni’

Secondo i dati del South Asia Terrorism Portal, le vittime legate al terrorismo in Pakistan sono state, nella prima metà del 2024, circa trecento. Islamabad attribuisce la responsabilità al ‘Tehrik-e-Taliban Pakistan’, che ha le sue basi nel vicino Afghanistan e che concentra le sue operazioni nelle provincie di confine: aree tribali, Waziristan, Khyber-Pakhtunkwa. Esattamente come nel 2009, però, a parlare con gli abitanti della zona che da mesi scendono in piazza con dimostrazioni pacifiche di migliaia di persone, le cose non stanno proprio come il governo le dipinge. Nel Waziristan, “I ‘talebani buoni’ continuano a reclutare giovani, ad ospitare armati provenienti da altre parti del Pakistan e ad aiutarli ad attraversare il confine con l’Afghanistan quando ne hanno bisogno. Lavorano tutti sotto il patrocinio dell’esercito pakistano”. Secondo gli abitanti del luogo, i taliban hanno ricevuto terre e, a volte, interi distretti. Amministrano la giustizia secondo la sharia e sono stati messi a capo delle cosiddette “Commissioni di pace”, nate per risanare i rapporti con i cittadini comuni che li odiano.

‘Commissioni di pace’ e roghi talebani

Uno dei primi atti della Commissione di pace è stato quello di bruciare vivi cinque abitanti di un villaggio, denuncia ancora Francesca Marino. I cittadini, stretti tra le angherie dei militari e quelle dei capi taliban (che in molti casi dividono fraternamente il quartier generale), non vedono via d’uscita: le estorsioni e le minacce sono all’ordine del giorno, così come le rappresaglie ai danni di chi si rifiuta di cooperare. Chi protesta scompare, viene ammazzato o, se è fortunato, massacrato di botte. Come in Balochistan o come, ad esempio, nel Kashmir pakistano, dove le proteste dei cittadini per mancanza d’acqua ed elettricità e gli aumenti esponenziali dei prezzi sono state sedate con il solito sfoggio di violenza da parte della polizia e dell’esercito.

‘Il paese più pericoloso del mondo mai più pericoloso di adesso’

«Mentre nessuno tocca i protagonisti di linciaggi, torture e roghi in piazza a opera di pii cittadini che se la prendono con i protagonisti di presunti episodi di blasfemia. Ma questa è un’altra storia». Il paese è allo sbando, sostengono le poche voci sane che insistono nel rimanere nonostante tutto in Pakistan: l’economia non esiste più, i prezzi sono alle stelle, non c’è lavoro, metà dei cittadini sono in armi o protestano più o meno pacificamente, non esiste il diritto (se mai sia esistito) e, soprattutto, non esiste per il resto del mondo un referente serio e univoco con cui dialogare.  Il “paese più pericoloso del mondo”, dicono, non è mai stato più pericoloso di adesso.

 

 

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