La Cina è diventata il principale partner commerciale della Russia con un interscambio salito a 136 miliardi di dollari nella prima metà di quest’anno, in procinto di superare il livello record dello scorso anno di 240 miliardi. Oltre ad aumentare le sue importazioni di petrolio, la Cina ha aperto i suoi mercati alla Russia per tanti altri prodotti che in precedenza erano limitati dalla propria legislazione commerciale.
Tecnicamente, quando il sistema dei pagamenti di un Paese smette di funzionare, il baratto è la forma di scambio più accessibile. Non è semplice come pare, perché vanno definiti gli accordi tenendo conto di una quantificazione di costi e variazioni che rendano lo scambio alla pari. A febbraio, il Ministero dell’Economia russo ha pubblicato un documento in cui fornisce le prescrizioni alle aziende russe su come condurre le transazioni di baratto e segnala le insidie da evitare.
Nel quadro della diversificazione della sua enorme rete globale di scambi commerciali, la Cina ha già adottato, in alcuni casi, il sistema del baratto. Nel 2019 lo ha fatto con la Malesia nello scambio di olio di palma per un valore di quasi 150 milioni di dollari in cambio di servizi di costruzione e attrezzature civili e di difesa. Nel 2021, un’azienda cinese ha esportato in Iran componenti per auto per un valore di 2 milioni di dollari in cambio di pistacchi, di cui la Repubblica islamica è leader mondiale.
La Russia, invece, non adotta accordi di baratto dal 1991, dai tempi del collasso economico seguito alla fine dell’URSS. All’epoca fu costretta a barattare materie prime, energia, macchinari e prodotti industriali con Cina, India e Iran. Un precedente che conferma la notizia attuale e per cui sembra valere il motto “ le vecchie amicizie sono come il buon vino: migliorano nel tempo”. La necessità della Russia di ritornare a questo sistema di interscambio non deve però ingannare sul reale stato dell’economia russa, ben diverso dall’epoca post-sovietica.
I quattordici pacchetti di sanzioni non sono stati proprio ininfluenti, come qualcuno vuol far credere. Nell’economia globale non poter commerciare in dollari è un limite difficile da superare. La Russia ha adottato lo yuan come valuta estera preferita, ma la situazione con la liquidità in yuan è peggiorata negli ultimi mesi. Dietro alle dichiarazioni di alleanza esibite durante l’incontro tra Putin e Xi a maggio, c’è una realtà che riguarda i problemi di pagamento russi. Condizione che ridimensiona il peso specifico di Mosca nelle relazioni con Pechino.
Sebbene non tutte le banche russe siano state escluse dal sistema SWIFT ( il sistema elettronico a guida USA che garantisce le transazioni internazionali), questo fornisce una tracciatura tra chi commercia cosa, come e a che prezzo. Per la Cina ciò significa la tracciabilità e il controllo americano delle proprie transazioni con la Russia. Il baratto offrirebbe quindi il duplice vantaggio a Pechino: ridurre la visibilità delle sue transazioni bilaterali con la Russia e la limitazione del rischio valutario con un Paese alle prese con le sanzioni.
La seconda prospettiva ce la offre la recente analisi di ‘The Economist ‘ che descrive un’economia russa in crescita, grazie ad un massiccio impiego di spesa pubblica, non solo per la guerra ( 9% del PIL) , ma anche per il welfare, le pensioni e altro ancora. L’introduzione del baratto nell’interscambio con la Cina ha quindi un significato più strategico che comparabile alla crisi sistemica del 1991. L’economia va, sebbene vi sia un aumento dell’inflazione. Ma con i redditi che aumentano più velocemente dei prezzi, i timori e la pazienza della popolazione sono tenuti sotto controllo.
D’altronde la resilienza economica è un fattore strategico per un Paese, facciamocene una ragione, dove il sentimento di gloria nazionale conta più delle prospettive di benessere economico. A conferma del fatto che l’economia non è solo formule matematiche, ma una scienza umana. Dalle conseguenze non sempre prevedibili.