Olimpia dietro lo sport: un grande affare e tanta strumentalità politica

Un mare di retorica, piccole polemiche quotidiane e un continuo spettacolo televisivo aiutano a dimenticare quanto successe in altre Olimpiadi dove le tensioni del mondo presero a calci lo sport dopo averlo a lungo usato e strumentalizzato per sventolar bandiera. Esclusioni di Paesi e non partecipazioni di protesa. Oggi per fortuna solo le esclusioni rimediate col trucco di partecipazioni ‘private’, come certe conferenze di pace da cui escludi il tuo cattivo con cui dovrai arrivare a farla.

Jesse Owens, l’atleta Usa di colore vincitore di quattro medaglie d’oro ai Giochi olimpici di Berlino 1936, in pieno nazismo razzista ariano, divenuto simbolo.

Berlino, 1936: «Olympia» e Jessie Owens

Nell’estate del 1936 era difficile ignorare completamente quanto stava accadendo in Germania: a Barcellona, nell’intento di boicottare il regime nazista, furono indette le Olimpiadi popolari tra il 19 e il 26 luglio che avrebbero dovuto concludersi una settimana prima di quelle di Berlino. Vi aderirono meno di duemila atleti appartenenti a ventidue diverse nazioni, ma il 17 luglio un colpo di stato militare guidato dal generale Francisco Franco tentò di rovesciare il governo legittimo dando inizio alla guerra civile spagnola. La maggior parte non raggiunse la Spagna e quelli che si trovavano già nella città catalana l’abbandonarono in fretta: molti sportivi – nella stragrande maggioranza tedeschi e italiani, che si trovavano già in esilio per motivi politici – preferirono tuttavia rimanere ed arruolarsi nelle milizie repubblicane.
Alla fine, nonostante altri blandi tentativi di boicottaggio della manifestazione prevista a Berlino, vi presero parte quarantanove nazioni con circa quattromila atleti trasformando la vicenda in un clamoroso successo propagandistico del nazismo, tanto più che la Germania, sulla quale gravava l’accusa dello scoppio della Prima Guerra mondiale, in precedenza era stata esclusa dalle Olimpiadi del 1920 e del 1924.
A questa rivincita in termini di immagine si aggiunse il successo degli sportivi tedeschi nelle gare che fu utilizzato sul piano interno per affermare una presunta superiorità anche razziale. Ad ingigantire il successo si aggiunse il documentario «Olympia», girato dalla regista Leni Riefenstahl, che circolò al di fuori dei confini tedeschi e nel quale solo pochissimi intravidero un oscuro destino per l’Europa.

‘Guerra fredda’ anche a colpi di sport e olimpiadi

La Guerra fredda non fu mai combattuta sui campi di battaglia, ma le piste di atletica, le piscine o gli stadi in occasione di manifestazioni internazionali divennero spesso luoghi di scontro. Ad esempio, nel 1948, l’Unione Sovietica non prese parte né ai giochi estivi a Londra, né a quelli invernali a Saint Moritz. I motivi principali probabilmente risiedevano nelle difficoltà della ricostruzione che impedirono di organizzare gli atleti sovietici e nel timore di non ottenere grandi riconoscimenti, ma ai giochi presero parte comunque Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria e Romania che stavano normalizzandosi nell’orbita di Mosca.
Nel 1948 le autorità alleate non consentirono la nascita di un comitato nazionale olimpico tedesco occidentale, provocando la terza esclusione della Germania dai giochi nel XX secolo. Non mancarono tuttavia momenti di distensione, come ad esempio nel 1951 l’ingresso dell’URSS nel Comitato Olimpico Internazionale a un anno dallo scoppio della guerra di Corea, ma cominciò anche la corsa al rafforzamento delle organizzazioni sportive nazionali.
Paradossale invece quanto si verificò negli anni della divisione tedesca: nel 1952 Repubblica Federale e Repubblica Democratica ad Helsinki si presentarono separate, anche se la ‘Ostpolitik’ di Willy Brandt attuava significativi riavvicinamenti. Prevalse la linea della separazione e alla fine la presenza della Germania est divenne dirompente: in cinque edizioni da sola conquistò quattrocentonove medaglie delle quali centocinquantatre d’oro. Lo sport insomma fu il solo terreno sul quale la RDT ottenne successi superiori alla RFT, ma poi cadde il muro.

Atene, 2004: «Ci rifaremo con il turismo»

L’organizzazione delle Olimpiadi di Atene nel 2004 costò una decina di miliardi di euro, circa il 4% del reddito nazionale. Prima edizione dei giochi dopo l’attentato dell’Undici settembre richiesero uno sforzo enorme per la sicurezza stimato in un decimo del costo complessivo, ma dall’altra parte esistevano soprattutto motivi di prestigio nazionale: le radici delle Olimpiadi risalivano infatti all’antichità classica e dal 1896 non si erano più svolte in Grecia. Furono così costruiti nuovi stadi, aeroporti, metropolitane e nuovi quartieri che si svuotarono però alla fine dei giochi: a tre settimane dalla conclusione ventuno dei ventidue siti olimpici realizzati erano in pratica senza riutilizzo, mentre sulla finanza pubblica gravava l’onere della manutenzione stimato in circa seicento milioni di euro all’anno.
Il deficit greco si impennò così al 6% e l’anno successivo intervenne la commissione europea nelle modalità che ricordiamo, trasformando i trionfi in disperazione. Gli stessi costi preventivati del resto, dal momento dell’aggiudicazione ad Atene, erano almeno raddoppiati. Nel 2010 arrivarono pesanti accuse alla classe di governo che – pare in accordo con le banche internazionali – aveva taroccato i conti e nel marzo 2012 arrivò la prima ristrutturazione del debito imposta ad un paese europeo. Nonostante l’ottimismo espresso nella famosa frase «Ci rifaremo con il turismo» si arrivò al default, aggravato dalla privatizzazione dei profitti e dalla registrazione delle perdite al debito pubblico.

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