Noi ‘tossici informatici’ di Google presto in disintossicazione

Quando acquistiamo uno smartphone o un computer, al primo avvio appaiono sullo schermo le icone dei ‘programmi predefiniti’, ovvero quelli la cui installazione non è stata decisa ed effettuata da noi. Google search, Google Maps, Google Drive, Youtube sono belli e pronti con il loro design semplice, colorato e minimale.

I monopoli illegali a colpi di miliardi

Il 6 agosto il Dipartimento di Giustizia di Washington ha affermato che Google ha pagato 26 miliardi ad Apple Inc., Samsung Electronics Co. e altri nel corso di decenni per garantirsi il posizionamento privilegiato su smartphone e browser web. Questa posizione predefinita ha consentito a Google di creare il motore di ricerca più utilizzato al mondo e di alimentare oltre 300 miliardi di dollari di entrate annuali, in gran parte generate dagli annunci di ricerca. “Google è un monopolista e ha bloccato qualsiasi altro concorrente dal successo sul mercato”, conclude la sentenza. La seconda fase del processo che, si terrà entro l’anno, definirà i rimedi e le sanzioni. L’azienda farà certamente appello, ma è probabile che già questa prima sentenza influenzerà altre cause antitrust, in particolare contro Apple, Amazon e Meta (proprietario di Facebook, Instagram e WhatsApp).

Dalla 7 sorelle petrolifere di Mattei a alle 7 del Big Tech

Alphabet Inc., la casa madre di Google, appartiene alle 7 sorelle Big Tech che sono sotto i riflettori della crisi dei mercati finanziari che sta minacciando le economie mondiali. Si dirà che il potere di concentrazione monopolistica è insito nella natura dei padroni dell’innovazione, come ci ha insegnato la storia. Accadde con le ferrovie oltre un secolo fa. Il treno era il principale mezzo di trasporto per persone e merci negli Stati Uniti. Questo trasformò l’economia americana, ma creò anche significativi problemi di monopolio. Le principali compagnie ferroviarie, come la Central Pacific Railroad e la Union Pacific Railroad, acquisirono un enorme potere economico e politico. Da lì nacque lo ‘Sherman Act’, la legge  anti-trust, ancora in vigore e che sta alla base delle accuse a Google. Allora il problema fu risolto costringendo le aziende ad applicare tariffe regolamentate e a vendere parte delle proprie attività. Soluzioni analoghe a quelle prospettate anche oggi per il gigante dei motori di ricerca.

Pre-potenza Usa sul mondo: Googlie e Meta

Ma mentre nel caso delle ferrovie lo strapotere dei produttori era limitato all’America di fine ‘800, nel caso delle Big Tech l’impressione è di trovarsi dinnanzi a potenze, tutte americane, che non solo detengono oltre il 15% della ricchezza mondiale, ma possiedono anche le nostre identità di consumatori-clienti. Un discrimine con i monopoli del passato che rende il gioco assai più duro. E’ di questi giorni la notizia in esclusiva del Financial Times che rivela come Google e Meta abbiano stretto un accordo segreto per indirizzare gli annunci pubblicitari di Instagram agli adolescenti ( 13-17 anni) su YouTube, in sfregio alla norma di non indirizzare pubblicità a un target minorenne. Anche in questo caso, si attendono conseguenze sul piano legale.

Regole e legalità oltre il mercato Usa: Ue e Cina

E’ la dimostrazione che il settore necessita un approcio di norme e di regole più difficile e ampio che nel passato perché il dominio dei colossi americani si estende oltre il potere economico con implicazioni politiche e sociali. Le leggi antitrust dei diversi Paesi hanno adottato misure differenti, in linea con le rispettive priorità e contesti culturali. Dal 2010 è l’Unione Europea il maggiore avversario di Google, Apple e Amazon e oggi fa leva su misure antitrust e regolamentazioni ad-hoc, quali il Digital Services Act (DSA). Con la Cina che fa storia a parte, anche i Paesi dell’area dell’Indo-Pacifico come Corea del Sud e Giappone hanno intensificato indagini antitrust. La realtà è che queste indagini locali, Europa compresa, vanno spesso a sbattere contro società che hanno sede negli Stati Uniti. Ora, però, Google è stata condannata “in casa” e ciò assume una valenza politica e potrebbe segnare l’inizio di alcuni cambiamenti.

Googlie colpita in casa, salvo la coppia Trump-Musk

Una valenza politica perchè i problemi legali riflettono un evidente deterioramento del rapporto tra Big Tech e governo federale. Il potere delle lobbies sulla politica resta forte. Solo Apple ha speso 9,9 milioni di dollari nel 2023 per fare lobbying, secondo l’istituto di ricerca per la trasparenza tecnologica TTP. Per non dire delle ben note simpatie repubblicane di Elon Musk. Tuttavia, l’esigenza di regolamentare le pratiche monopolistiche raccoglie un ampio consenso bipartisan tra democratici e repubblicani. Il valore del libero scambio sta alla base del principio di nazione e di conseguenza dell’american dream, un tema trasversale e che sarà in gioco nelle prossime elezioni a novembre.

Il secolo della innovazione tecnologica

Sul fronte dei cambiamenti di mercato, ogni rottura di un monopolio genera potenziali benefici in termini di concorrenza, innovazione e protezione dei consumatori. All’obbligo di “spezzettarsi”, e quindi di ridimensionarsi sui mercati globali, corrisponde la nascita di nuove imprese. Un possibile allentamento della trazione americana alle aziende tecnologiche esprime la necessità di armonizzare le normative a livello internazionale per creare standard unici che permettano ai produttori di adattarsi, sin dalla concezione dei propri prodotti, a linee guida universali. Una vera sfida nel secolo dominato dall’innovazione tecnologica.

Mega economia nella tasche e nella vita di tutti noi

Normalmente, le politiche antitrust sono temi prettamente tecnici, ad appannaggio di esperti legali ed economisti. Tuttavia, mai come ora che il potere di poche industrie private entra in conflitto con l’economia globale e la tutela della libertà dei cittadini è necessario rimuovere il tema dall’ombra e farlo entrare del dibattito pubblico.

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