
Sergei Shoigu, del Consiglio per la Sicurezza nazionale di Mosca in questi giorni in Iran
Dentro i Palazzi di Teheran si confrontano due anime: quella ‘trattativista’, che fa capo all’ala religiosa dialogante e al “Partito del Bazar”; e quella ‘intransigente’, raccolta intorno agli ayatollah “duri e puri” e, soprattutto, condizionata dall’estremismo nazionalistico delle Guardie rivoluzionarie. Il nuovo Presidente, Masoud Pezeshkian, è solo un moderato, spacciato dalle troppo semplicistiche analisi dei giornali occidentali per una specie di “riformista rivoluzionario”. Ma non è così. In caso contrario, il Consiglio dei Guardiani lo avrebbe squalificato, impedendogli di candidarsi alle elezioni. Tutto sommato è gradito ad Ali Khamenei, la Guida suprema, che detiene (formalmente) l’ultima parola anche sulle decisioni di politica estera.
La teocrazia vive una difficile fase di transizione e la lotta per la successione a Khamenei (che ha quasi 86 anni) si è già scatenata. L’aspra contrapposizione con Israele e i rapporti con gli Usa (e con l’Occidente) sono al centro del furioso dibattito politico interno. Pezeshkian ha vinto le elezioni con un programma che prevede un miglioramento delle relazioni con Washington, per ottenere un ammorbidimento delle sanzioni, che stanno progressivamente devastando l’economia del Paese. Tutto questo per dire che, al di là delle dichiarazioni di fuoco, a Teheran non sembra ci sia molta chiarezza sulla strategia “di ritorsione” che verrà seguita. Per ora, le prime mosse del regime fanno capire che si punta su un coordinamento con l’«Asse di resistenza».
Si tratta di quei gruppi di guerriglia, sostenuti dall’Iran, che agiscono in tutta la regione compresa tra il Libano e lo Yemen (con particolare riguardo all’Irak e alla Siria), che potrebbero sincronizzare i loro attacchi contro installazioni israeliane o, più facilmente, americane. Questo è già avvenuto lunedì sera. La base aerea Usa di al-Asad, in Irak, è stata colpita da missili lanciati dal gruppo islamico “al-Thawraiyoun”, che fa parte della galassia di guerriglia sponsorizzata dagli ayatollah. L’attacco ha fatto diversi feriti, anche se il Pentagono ha cercato di minimizzare. Un’altra sigla irakena, “Harikat an-Nujaba”, ha minacciato apertamente i soldati americani e gli israeliani, dicendo che “presto si spalancheranno le porte dell’inferno davanti a loro”. Anche una terza milizia sciita (che ha subito un recente bombardamento Usa) è sul piede di guerra. “Kataib Hezbollah” rappresenta una sorta di “filiale” irakena dell’agguerrita formazione libanese. A macchia di leopardo poi, in Siria, sono disseminate delle vere e proprie “bande islamiche”, che per i loro rifornimenti (e le istruzioni) dipendono in gran parte da Teheran.
Questa volta la rappresaglia iraniana sembra meno impulsiva di quanto avvenuto lo scorso aprile. La strategia? Tenere gli israeliani e gli americani in allarme permanente. Se si annuncia un pesante attacco, senza specificare ulteriori dettagli, serve a mantenere l’avversario in uno stato di logorante tensione. L’emergenza militare ha un prezzo, e organizzare un apparato di sicurezza nazionale ‘impermeabile’ costa ancora di più. Proprio per questo, ieri, il leader di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah, ha ricordato a tutti con una punta di spavalderia che “la decisione di attaccare è stata presa, e ne abbiamo la capacità, ma non accadrà velocemente, bensì lentamente. L’anticipazione snervante fa parte della risposta – ha aggiunto – perché l’obiettivo è che l’attesa esaurisca Israele e tutte le sue risorse”.
La temuta reazione iraniana potrebbe anche arrivare in una forma molto più ‘soft’ di quanto tutti si aspettino. Gli ayatollah stanno per firmare una vera e propria alleanza militare con la Russia di Putin. Non si conoscono ancora bene i termini della bozza di documento, ma si prevede che si possa addirittura trattare di un “patto di mutua difesa”. Dovrebbe essere siglato a ottobre, a Kazan, alla prossima riunione plenaria dei ‘Brics+’. Se le indiscrezioni dovessero essere confermate, Teheran avrebbe così raggiunto una certa soglia di “intangibilità”.
Sergei Shoigu, l’ex Ministro della Difesa di Putin e oggi segretario del potente Consiglio per la Sicurezza nazionale di Mosca, ha visitato proprio in questi giorni l’Iran. Ha detto di tenere i nervi saldi e di evitare spacconate. Putin è stato chiaro: qualsiasi attacco non deve toccare i civili. Insomma, secondo lui sarebbe meglio non fare niente. E aspettare ottobre…