Perché e per chi conta tanto la crisi in Venezuela

Notizie ancora contradittorie tra analisi spesso confuse. Uno sforzo di chiarezza da parte di Limes su una successione di punti chiave: 1, le reazioni alla presunta vittoria di Nicolás Maduro che travalicano i confini venezuelani; 2), il ‘chavismo’ che non si lascia erodere; 3), il fallimento dell’Organizzazione degli Stati americani; 4), Stati Uniti e Brasile che faticano a imporre la propria posizione; 5), a cosa ambiscono Cina, Russia e Iran?

Venezuela, non solo Nicolas Maduro

La crisi scaturita dopo le elezioni presidenziali del 28 luglio in Venezuela ha messo in evidenza i nodi, le controversie e i conflitti che attraversano l’America Latina e ne minacciano la stabilità. Questa situazione ha ramificazioni globali. Coinvolge attori extra-regionali come Stati Uniti, Cina, Russia, Iran e Qatar, in un contesto di instabilità del sistema internazionale, nell’analisi molto acuta di Federico Larsen

Maduro, opposizioni e ‘non trasparenze’

Le elezioni dovevano essere il culmine di un processo tra il governo di Nicolás Maduro e le opposizioni, per ridurre la violenza politica nel paese. Mediazione inizialmente al governo della Norvegia ma è stata decisiva l’amministrazione Usa (come Stoltenberg con la Nato), per arrivare all’accordo di Barbados. Washington ha sospeso buona parte delle sanzioni economiche 2016 di Barack Obama, e ha liberato Álex Nain Saab Moran, figura chiave per gli affari economici del governo Maduro. In cambio, Maduro ha scarcerato diversi esponenti dell’opposizione e promesso elezioni trasparenti.

Distensione ‘petrolifera’ ucraina

La distensione tra amministrazione Biden e governo Maduro era iniziata a maggio 2022, quando il greggio venezuelano diventava strategico nella guerra ucraina per contrastare il calo nei rifornimenti energetici europei causato dalle sanzioni contro il petrolio russo. Washington ha rilasciato permessi di esportazione di greggio venezuelano all’italiana Eni e alla spagnola Repsol. La politica di “massima pressione” dell’ex presidente Trump contro Caracas inoltre aveva ottenuto effetti contrari: il fiorire del mercato illegale e favorito aziende russe o iraniane che sono riuscite ad ampliare la loro presenza in Sud America.

Dal petrolio ai migranti

Nell’ottobre del 2023, Washington e Caracas, l’accordo sui migranti irregolari venezuelani che ha permesso i colloqui a Barbados e l’accordo su nuove elezioni. Il patto sembrava lasciare tutti contenti: Maduro otteneva un allentamento delle sanzioni Usa che avevano strangolato l’economia negli ultimi anni, mentre Biden apriva un canale di dialogo con uno dei principali fornitori di greggio globali. Mentre la variegata opposizione venezuelana riceveva il sostegno di Washington per le presidenziali del 2024, dopo più di 10 anni di boicottaggio.

‘La Salida’ degli antichavisti

Dalla morte di Hugo Chávez e dalla vittoria di Maduro, 2013, i principali leader della composita destra hanno fatto prevale la via della mobilitazione, ‘La Salida’: manifestazioni quotidiane, spesso estremamente violente, ad erodere il consenso attorno a Maduro. Effetto contrario, l’unità tra governo, esercito e forze dell’ordine. Alle elezioni del 2018, l’opposizione si è rifiutata di presentare candidati, mossa che ha permesso a molti governi (Usa per primi) di non riconoscerne il mandato. Mentre i deputati di opposizione nominano Juan Guaidó, presidente del parlamento, capo di governo ad interim.

L’inciampo Guaidó

Grande eco a livello internazionale, ma poco altro. Senza potere reale sul territorio e assediato da casi di corruzione, Guaidó nel maggio del 2019 tenta un’insurrezione armata con un piccolo settore dell’esercito, immediatamente repressa. Un anno più tardi c’è stata l’Operazione Gedeon, un tentato golpe portato avanti da ex funzionari delle forze speciali degli Stati Uniti e preparata in modo maldestro da politici e imprenditori venezuelani col sostegno di alcuni funzionari colombiani. Altro fallimento ed evidenza delle interferenze dei governi di Washington e Bogotá.

Il chavismo precipita ma non muore

Nonostante le ripetute crisi economiche e sociali dell’ultimo decennio, il chavismo ha ancora un sostegno popolare non indifferente. Dal suo arrivo al potere nel 2013, Maduro ha praticamente dilapidato l’enorme crescita vissuta dal Venezuela dopo l’arrivo al potere di Hugo Chávez. Nel 2012 il paese aveva raggiunto il pil più alto della sua storia, ma negli otto anni successivi ha subìto un crollo dell’88%. Una crisi senza paragoni rispetto a qualunque altro tracollo economico nella storia recente, incluso quello dell’Urss dopo la caduta del Muro di Berlino e dell’Argentina del 2001.

Riforme recenti e crescere

Negli ultimi due anni, il governo Maduro ha varato drastiche riforme economiche: allentamento controlli alla circolazione di valuta straniera, l’apertura alle importazioni, misure neoliberiste a favorire la piccola e media impresa. I negozi di Caracas sono passati dalle tragiche carenze del 2019 alla sovrabbondanza 2024. Il governo ha inoltre integrato i miseri salari dei venezuelani (circa 10 dollari mese tra gli impiegati pubblici) con buoni statali. E la riattivazione economica si è fatta sentire anche nella vita quotidiana. L’elezione per  dare ulteriore ossigeno al governo.

Barbados e troppe malizie

Controversie sull’applicazione dell’accordo di Barbados. La candidata presidenziale dell’opposizione, María Corina Machado esclusa dalle elezioni dal Consiglio nazionale elettorale, e subito la Casa Bianca interviene con sanzioni contro gas e petrolio venezuelano. Troppo e troppo in fretta. L’opposizione, dopo forti dibattiti interni sceglie di candidare Edmundo González Urrutia, un ex diplomatico quasi sconosciuto al grande pubblico. Secondo tutti, Urrutia godeva di un sostegno nettamente superiore a quello di Maduro. Si parlava di circa 30 punti di distanza tra i due.

Risultati ‘ufficiali’ senza documenti

Con l’80% dei registri scrutinati, il potere elettorale ha proclamato la vittoria di Maduro con 5,15 milioni di voti, contro i 4,45 milioni di Urrutia, una differenza minore rispetto alla quantità di voti ancora da analizzare. Il vertice elettorale non ha poi diffuso dati ulteriori, né ha reso pubblici i registri elettorali entro i tempi previsti dalla legge. L’opposizione, che durante la giornata elettorale ha raccolto circa il 70% dei registri cartacei elaborati alla chiusura delle urne, ha reso pubblico tutto il materiale, sostenendo che in realtà Urrutia si è imposto con più del 67% dei voti.

Gli esperti del prestigioso Carter Center, cui è stato permesso di osservare il processo elettorale: “Le elezioni presidenziali del 2024 in Venezuela non hanno soddisfatto gli standard internazionali di integrità elettorale e non possono essere considerate democratiche”.

Reazioni internazionali

Uruguay, Argentina, Costa Rica, Ecuador, Panama, Paraguay, Perù e Repubblica Dominicana hanno rifiutato i risultati ufficiali. Maduro espelle le rappresentanze diplomatiche di questi paesi. Ma esplodono le contraddizioni delle organizzazioni per l’America Latina. Prima a rifiutare il risultato. l’Organizzazione degli Stati americani (Oea), tutti i governi del continente legati alle posizioni degli Stati Uniti. Esagerato, e al vertice Oea riunito a Washington (altro errore) l’astensione di Brasile e Colombia e l’assenza del Messico hanno di fatto impedito l’approvazione di una risoluzione ufficiale contro Maduro.

L’Oea ‘aggrava soltanto il problema’

Il risultato è un Venezuela diviso in un continente diviso. In nessun organismo internazionale latino americano esiste consenso sulla crisi. Lula da Silva, uomo chiave dell’integrazione latinoamericana, fatica a raccogliere consensi nel resto del continente. In parte perché il principale partner del Brasile, l’Argentina, è alle prese con l’ultra destro populista Milei che ha tagliato tutti i ponti col ‘Palacio do Planalto’. Ma Brasile e Venezuela condividono poi 2.200 chilometri di frontiera..

Altalena Casa Bianca

La Casa Bianca sembra incapace di imporre le proprie condizioni sul Venezuela. Joe Biden conclude un mandato caratterizzato da un cauto disgelo nei confronti di Maduro, ma i dubbi sulla futura continuità delle sue politiche impongono maggior cautela per non compromettere una possibile presidenza di Kamala Harris. Quest’ultima ha pubblicato su Twitter/X un commento interpretato da molti come un temporaneo armistizio in attesa dell’evolversi degli eventi.

Colombia, Paese rifugio

Altro protagonista è Gustavo Petro, primo presidente di sinistra della Colombia, paese che accoglie la maggior quantità di venezuelani. 6,5 milioni di emigrati dal 2018 ad oggi, ben 2,85 milioni in Colombia. Mentre le due principali forze di guerriglia colombiane ancora attive, l’Ejercito de Liberación Nacional e la Segunda Marquetalia (scissione delle Farc dopo l’accordo di pace 2016), hanno in territorio venezuelano centri logistici fondamentali per le proprie operazioni.

I voti reali ma nessuna destra alla Milei

Bogotà ha assunto una posizione molto simile a quella di Brasile, Usa e Messico, chiedendo la pubblicazione dettagliata dei risultati di domenica. Critica ma prudente. Esiste il timore delle posizioni estremiste espresse in passato da chi oggi guido l’opposizione in Venezuela: né Brasile né Colombia vogliono un altro governo ‘alla Milei’ a ridosso della propria frontiera, molto più vicino a Bolsonaro e a Uribe Vélez di quanto Machado e Urrutia vogliono far credere.

Gli interesso esterni oltre quelli Usa

Cina, Russia e Iran hanno riconosciuto la legittimità del risultato e la vittoria di Maduro. Non è un caso che proprio Venezuela, Cuba e Nicaragua siano state la meta dell’ultimo viaggio nel continente dell’ex presidente iraniano Raisi nel giugno 2023, e del ministro degli esteri russo Lavrov, nell’aprile 2023. Oggi, esperti informatici di Pechino e Mosca sono stati convocati a Caracas per la relazione peritale del sistema elettronico del Cne, che secondo le autorità venezuelane è sotto attacco da parte dell’opposizione di destra. A ciò si dovrebbe il ritardo nella comunicazione del risultato finale e nella pubblicazione dei registri dettagliati del voto.

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