Gli ultimi drammatici eventi in Medio Oriente dicono solo una cosa: l’America ha perso il suo ruolo di superpotenza, capace di non far degenerare le aree di crisi, appianando le divergenze. Perché non riesce più a essere mediatrice, ma solo parte in causa. Una posizione figlia di un pensiero geopolitico che difende solo interessi ‘tattici’, senza alcun respiro strategici di lungo periodo. Il titolo del New York Times, giornale da sempre vicino all’Amministrazione Biden, in questo senso è emblematico, perché mette a nudo tutto il fallimento delle strategie politiche e diplomatiche mes se a punto dalla Casa Bianca e promosse, con un faticoso lavoro “di sponda”, dal Dipartimento di Stato.
«Mentre aumentano i timori di un conflitto più ampio nel Medio Oriente – scrive il NYT – gli Stati Uniti vengono visti fuori controllo». Ma come è possibile, ci si chiede, che dopo mesi e mesi di intensi sforzi, per portare avanti laboriose trattative per un cessate il fuoco e per il ritorno degli ostaggi a casa, si sia scelto di subire una mossa che serve solo a gettare altra benzina sul fuoco? Naturalmente, la narrativa “pronta all’uso” è stata quella “che Washington non sapeva”. Una patetica bugia, pronunciata dal Segretario di Stato Antony Blinken, alla quale nessuno sano di mente potrà mai credere. Anche perché, come sostiene indirettamente il New York Times, la pezza è peggio del buco. Nell’articolo del giornale si dice, infatti, che “i funzionari Usa dicono di non aver ricevuto alcun preavviso dell’attacco al leader di Hamas in Iran, alimentando il timore di un vuoto di potere che potrebbe portare a una crisi geopolitica più ampia”.
Nel bel mezzo delle trattative per arrestare il carnaio di Gaza e per evitare che scoppi una disastrosa guerra totale, che coinvolgerebbe Libano, Iran, Hezbollah e chissà quanti altri, la Cia (e le altre 15 agenzie di spionaggio Usa), non sapevano che i “colleghi” di Tel Aviv stavano preparando quel colpo a Teheran? Impossibile, perché la sicurezza di Israele è garantita solo ed esclusivamente dalle armi, dai soldi e dal “patronage” degli Stati Uniti. L’altra ipotesi, cioè che gli americani, effettivamente, non sapessero niente, fa venire i brividi. Significherebbe, semplicemente, che i destini del pianeta sono affidati non a statisti affidabili, ma a un manipolo di dilettanti allo sbaraglio. A meno che la ricerca di un accordo non sia solo fumo negli occhi per l’opinione pubblica, e non ci sia, in effetti, nessuna volontà di chiudere. Parlare sempre di “pace” non vuol dire avere effettivamente voglia (o interesse) di farla.
Secondo il “Times”, il precipitare della crisi in Medio Oriente sta cogliendo l’America impreparata proprio nel momento meno opportuno, a 100 giorni dalle elezioni presidenziali. “Gli omicidi mirati deileader di Hezbollah e di Hamas a Beirut e a Teheran – scrive il NYT – hanno aggravato i timori di un conflitto a livello regionale, che gli Stati Uniti, intrappolati nel loro dramma politico interno, potrebbero avere scarse capacità di evitare o addirittura contenere”. Insomma, la feroce campagna elettorale per la Casa Bianca, sta prosciugando tutte le energie e le attenzioni. E il principio di Trump, “America first”, di questi tempi, obtorto collo, sono quasi obbligati ad applicarlo un po’ tutti.
Mark Landler, l’analista politico del quotidiano newyorkese,sostiene che gli attacchi israeliani stanno facendo affondare i tentativi di mediazione di Biden. E la situazione che viene così dipinta è un vero guazzabuglio. La spiega il prof. Vali Nasr, della Johns Hopkins School: “Pensavamo che sarebbero statiPutin, Xi Jinping e Kim Jong-Un a trarre vantaggio da questo periodo elettorale negli Usa. Invece è stato un alleato”. E il riferimento chiaro è a Benjamin Netanyahu. La tesi, nemmeno troppo velata, del New York Times, è che, fatta in questo momento, a Teheran, l’uccisione “spettacolare” del leader di Hamas , Haniyeh, sia una provocazione. “Questo è un tentativo di umiliare gli iraniani – ha detto Daniel Levy, un’analista dell’US Middle East Project – e rappresenta il superamento di più linee rosse da parte di Israele”.
Si ritiene, inoltre, che la recente visita del premier Netanyahu negli Stati Uniti gli abbia fornito un quadro del caos politico del Paese e del momento di debolezza internazionale che vive. Ciò potrebbe averlo indotto a “cogliere l’attimo”, cioè ad attaccare pensando di minimizzare eventuali reazioni.
Un’altra ipotesi, fatta dal New York Times, coincide con quella avanzata ieri da Remocontro. “Alcuni analisti hanno suggerito che Israele potrebbe avere agito in parte per frustrazione, perché l’Occidente non aveva impedito all’Iran di avvicinarsi alla produzione di una bomba atomica. Provocare un conflitto, hanno detto, potrebbe dare il pretesto per colpire i suoi impianti nucleari”.