Qualsiasi passo che vada nella direzione di un accordo è sempre il benvenuto, in ogni circostanza. Nel caso specifico, il dialogo -un po’ forzato, per la verità- è frutto di complicati calcoli geopolitici. La causa scatenante, che ha alterato i fragili equilibri di questo spicchio di mondo è una sola: il crollo dell’ex Unione Sovietica. La ‘diaspora’ che ha seguito lo smembramento, è stata accompagnata da crisi regionali multiple. Ferite spesso sanguinose non ancora tutte rimarginate, particolarmente nell’area del Caucaso e della Transcaucasia, dove il miscuglio di etnie, culture e religioni ha fatto da detonatore ad antichi confronti tra il tribale e il nazionalistico.
Uno di questi ha visto sfidarsi Armenia e Azerbaigian, in uno scontro che è sfociato un paio di volte in guerra aperta. Uno scontro per il controllo di alcune regioni contese, a cominciare dal famoso Nagorno-Karabach. Gli armeni sono cristiani e gli azeri sono mussulmani: ma questa è solo una prima divisione, che non spiega sempre il successivo dipanarsi e confondersi delle alleanze. Perché, come già avviene in altre aree del pianeta, anche tra Armenia e Azerbaigian le grandi potenze hanno combattuto -e stanno combattendo- una guerra per procura. Dove i programmi, le ideologie, i ‘diritti civili’ e tanti altri valori proclamati, sono alibi per coprire degli interessi ben più sostanziosi.
Il problema, però, è che anche gli interessi sono talmente intrecciati da rendere impossibile capire chi sia l’alleato e chi sia invece il vero nemico. Dati di partenza: l’Armenia è formalmente alleata militare della Russia, che però ha anche eccellenti rapporti politici e soprattutto commerciali con l’Azerbaigian. Chi è il vero alleato militare su cui l’Armenia può contare ciecamente? Non certo Putin, che quando trattò il cessate il fuoco dopo l’ultimo conflitto nel 2020, anche se gli azeri facevano i prepotenti ordinò alle sue truppe di non immischiarsi. Ma per il vecchio detto che «i nemici dei miei nemici, sono i miei migliori amici», la vera ‘spalla’ degli armeni sono gli ayatollah di Teheran nemici di Baku.
E questo, mette la Turchia due volte in rotta di collisione con la piccola repubblica cristiana del Caucaso. I rapporti di Erdogan con l’Iran non sono propriamente agevoli. L’Iran a sua volta, odia gli azeri sunniti, che sono armati, guarda tu, dai turchi e anche dagli israeliani. Cioè due ‘sostegni’ che ad Ankara possono sopportare come il fumo agli occhi. Non solo, ma col petrolio e il gas che posseggono, gli azeri riescono ad avere argomenti convincenti e potere contrattuale anche col resto del pianeta, Italia via Eni compresa. Allora, vista l’evoluzione dello scenario geopolitico, a molti analisti sembra di capire che i quadri di riferimento delle alleanze stiano rapidamente mutando. L’ Armenia corteggia l’Occidente e utilizza la Turchia (membro Nato) come grimaldello, anche perché gli Stati Uniti stanno facendo un formidabile lavoro ai fianchi.
Antony Blinken, il Segretario di Stato, è ossessionato dal mitico “Corridoio di mezzo”, una via americana alternativa a quella cinese ‘della Seta’. Questa direttrice, dall’Asia Centrale arriverebbe in Turchia, attraversando Caspio e Caucaso, compresa l’Armenia. Mettendo in ginocchio le velleità di Pechino di esportare in Europa «le sue cianfrusaglie, come le definiscono gli americani» a prezzi stracciati. Chips e auto elettriche a parte. Una via, un percorso di trasporti via terra funzionale di questo tipo , per gli Stati Uniti sarebbe un colpo mortale inferto all’economia export-oriented della Cina. Funzionerebbe più dei dazi doganali e delle portaerei nello Stretto di Taiwan.
Il gioco attuale orchestrato da Washington, è quello di attrarre l’Armenia nell’orbita occidentale, sottraendola a Putin (e a Xi). E per fare questo Erdogan è un utilissimo proconsole. Certo, così facendo Erevan si mette contro la Russia e rimescola le carte del suo rapporto con l’Iran. Insomma, un guazzabuglio. Per ora, il premier armeno Nikol Pashinyan ha spedito un preavviso di disdetta della sua alleanza a Mosca, quella che riguarda il cosiddetto ‘Trattato di sicurezza collettiva’.
Vuole portare il suo Paese, armi e bagagli, con tutti e due i piedi in Occidente, chiedendo l’adesione, in futuro, all’Unione Europea. Un ‘privilegio’ che a parole non si nega a nessuno. L’unica vera incognita, però, resta Putin e tanti altri nemici storico attorno. A cui potrebbe bastare una ‘piccola sollecitazione’ per riprendere dal mucchio qualche guerra antica.