
La strada è sempre in salita, ma si sta spianando. I sondaggi attuali sono migliorati e, nella media ponderata RealClearPolitics, Trump è sempre avanti di un punto su scala nazionale. La stessa cosa avviene nelle rilevazioni con Five ThirtyEight. In entrambi i casi, però, per la Harris, che ha recuperato buona parte del gap, il tallone d’Achille rimangono i ‘battlegrounds’, i campi di battaglia,in bilico, (Georgia, Arizona, Nevada, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, North Carolina) che sembrano pendere ancora dal lato di Trump.
Il recupero di Kamala proseguirà o si bloccherà d’improvviso, quando a comizi allargati, gli elettori indipendenti e quelli di centro ne sapranno di più sui suoi programmi? In America, lo chiamano ‘effetto Dukakis”, per ricordare quel candidato progressista che sembrava avviato alla Casa Bianca, ma che poi, in un paio di mesi, perse il blocco moderato dei voti che i sondaggi gli assegnavano, quando i repubblicani lo fecero passare per un “pericoloso estremista”.
Riservandoci di analizzare i programmi di politica economica e di riforma sociale della Harris in un altro momento, anche per avere proposte politiche più precise, soffermiamoci per un attimo sul suo ‘pensiero strategico’ e sulla visione che ha dei problemi di geopolitica contemporanea. Qualunque sensibilità ideologica possa avere, la Harris è la vicepresidente di Joe Biden e, in questa veste, partecipa e controfirma tutte le decisioni del Consiglio per la Sicurezza nazionale. Compreso il via libera alla cessione di armi e munizioni letali, per esempio verso Israele.
Smarcarsi da una posizione ufficiale di questo tipo può essere auspicabile. Ma le viene sicuramente difficile. Ieri, il Wall Street Journal ha scritto che la signora ‘è monitorata’ dai gruppi di volontariato palestinesi. In passato la Harris ha chiesto un cessate il fuoco, quando fornendo armi e risorse a Israele il presidente Biden avrebbe potuto imporlo. Sempre il ‘Journal’, riferisce del suo incontro con Netanyahu, durante il quale la Harris ha bollato come ‘antipatriottiche’ le proteste contro il premier.
«Harris ha forti legami con la comunità ebraica – aggiunge il WSJ – e suo marito, Doug Emhoff, è ebreo, e ha svolto un ruolo importante negli sforzi dell’Amministrazione per combattere l’antisemitismo». Ma secondo il Journal, le preoccupazioni per i palestinesi potrebbero essere destinate ad aumentare. La Harris potrebbe scegliere come vicepresidente il Governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, un ebreo «sostenitore accanito di Israele e critico delle proteste studentesche nelle Università».
Un altro candidato per questa posizione sarebbe il senatore dell’Arizona, Mark Kelly, che ha applaudito Netanyahu quando ha definito i manifestanti “utili idioti dell’Iran”. Ma forse il consiglio migliore ai palestinesi, cioè quello di non farsi illusioni, lo dà Sam Lauter, di Democratic Majority for Israel, un gruppo di pressione che opera a favore della comunità ebraica.
«Kamala Harris – dice -, parla in modo diverso da Biden, ma fa le stesse cose. Chi non la conosce, non si dovrebbe innervosire, perché dopo il 7 ottobre ha sempre sostenuto tutte le azioni dell’Amministrazione Usa verso Israele. Ed è ciò che sta ancora facendo».