Messaggi cifrati Pechino-Trump via JD Vance

Nel recente Plenum del Partito Comunista Cinese svoltosi in piena crisi decisionale sulle dimissioni di Biden,  la dirigenza di Pechino è sembrata puntare dritta a Donald Trump come presidente in pectore degli Stati Uniti. Dalle pagine del Global Times sono partiti messaggi, inizialmente con tono conciliante, quasi mellifluo: «Malgrado le diversità i nostri popoli condividono emozioni comuni».

’Elegia americana’ di JD Vance

Il libro ‘Elegia Americana’ di JD Vance, candidato alla vicepresidenza, ha suscitato simpatia nella società cinese per la Rust Belt d’America ». Poi , passando dalla carota al bastone: « Fare della Cina un problema per scopi elettorali significa ignorare e sabotare gli enormi interessi comuni. Questo approccio mina seriamente la  cooperazione bilaterale e non favorisce la pace e la stabilità nel mondo». Una prospettiva che per la Cina dovrebbe essere peggiore di quella del mutato scenario che si delinea da oggi con un nuovo, anzi una nuova candidata anti-Trump.

Venti di guerra e le Borse corrono

In realtà i venti di guerra economica tra Usa e Cina  hanno soffiato forte anche durante la presidenza democratica. Quindi chi teme Pechino, Trump o Harris/Democratici? I mercati, verrebbe da rispondere. Perché sono i mercati che vengono ascoltati con maggior attenzione quando la politica, quella occidentale, è debole e disorientata. In Europa lo sta facendo la locomotiva industriale tedesca, a capo della crociata contro i dazi ed è presumibile che lo farà anche una più realista leadership democratica in Usa, seppure concentrata sul tema della sicurezza nazionale. I sogni populisti di riempire nuovamente le acciaierie di Pittsburgh di operai bianchi e possibilmente biondi, fa i conti con una visione più concreta dei mercati globali che hanno i dem. Prova ne è in questi giorni la controversa vendita della storica U.S. Steel ai giapponesi alla Nippon Steel Corp. Anche nel settore tecnologico «L’auto elettrica è più un’opportunità che una minaccia», titola il Financial Times. E l’altra voce economica dell’occidente The Economist commenta gli indici record delle borse chiedendosi come i mercati si dimostrino impermeabili alle crisi geopolitiche in corso. Perché dietro alle bolle e ai possibili crack finanziari  c’è una realtà che i mercati non nascondono

L’Occidente non più al centro del mondo

E’ necessario accettare che l’Occidente non è il centro del mondo e che la struttura industriale globale ha come perno l’Asia orientale. 5 miliardi miliardi di persone che vivono in Paesi con un grado di industrializzazione superiore al nostro. Un processo che dura da decenni, iniziato con l’ascesa del Giappone, poi la Corea,  le famose ‘Tigri asiatiche’, e infine la Cina. Ai problemi reali che ne conseguono per la sicurezza nazionale non si può rispondere unicamente con un sistema di norme e di leggi, dazi e barriere che sono strumenti di guerra economica. La protezione dei mercati nella competizione sistemica non necessariamente salvaguarda i lavoratori, favorisce gli investimenti e lo sviluppo di prodotti e servizi alla popolazione.

L’intedipendenza di fatto

I processi di integrazione economica hanno creato un’ interindipendenza da cui è impossibile staccarsi senza far crollare interi settori. Pensiamo al comparto dell’auto di cui la Cina è diventata il principale mercato mondiale. In questi anni l’industria automobilistica europea ha scelto di distribuire i dividendi agli azionisti invece che reinvestirli e ciò ha prodotto delle conseguenze (leggi alla voce Stellantis e Magneti Marelli). La leadership cinese nel settore delle batterie deriva da enormi investimenti effettuati negli anni e che hanno creato una filiera complessa, difficile da interrompere. Si parte dalle materie prime di cui la Cina è leader nelle attività estrattive. Ne segue la capacità di trattamento e raffinazione dei materiali stessi che ne fa il principale settore chimico mondiale. Obbiettivo raggiunto anche con una gestione ambientale spregiudicata.

Problema ‘transizione green’

Il paradosso è che la transizione green passa proprio di lì, per cui le barriere andrebbero in direzione di una marcia indietro in direzione fossili. Infine, al centro del campo di battaglia resta il mercato dei semiconduttori (i chip) che tutto muove nel mondo dell’innovazione tecnologica.

Un’interdipendenza che non può che fare i conti con la realtà, ma soprattutto con la capacità della maggior economia mondiale di ridiscutere nuove regole all’interno dei mutati rapporti di forza. Una possibilità che ha la nuova leadership democratica di fare qualcosa di Great, senza tornare indietro Again.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro