Da sempre afflitto da una povertà endemica, recentemente ha visto una crescita del Pil superiore al 7%, ma questo fatto non ha alleviato le disuguaglianze economiche e sociali che lo caratterizzano.
La rivolta, che covava sotto la cenere da parecchio tempo, è scoppiata con grande violenza nell’attuale mese di luglio. Oggetto della protesta è il governo presieduto dalla 76enne Sheikh Hasina, al potere dal 2009.
Hasina è la figlia di Sheikh Mujibur Rahman, primo presidente del Bangladesh, eroe dell’indipendenza del Paese dal Pakistan, ottenuta nel 1971. Anche grazie all’appoggio dell’India di Indira Gandhi, molto interessata a dividere il Pakistan occidentale da quello orientale. Rahman fu in seguito assassinato nel 1975.
Il partito da lui fondato, la “Awami League”, ha governato il Paese per molto tempo ed è attualmente guidato da sua figlia Hasina, la premier in carica e attaccata dall’opposizione.
Molti i motivi della rivolta, ma il principale è il seguente. Il Bangladesh è afflitto da un alto tasso di disoccupazione, che riguarda anche i neolaureati negli atenei locali. Un posto fisso nell’amministrazione pubblica è assai ambito da tutti, benché difficile da ottenere.
Una legge, abrogata nel 2018 e recentemente ripristinata, riserva il 30% dei posti disponibili ai discendenti dei soldati che combatterono nella guerra di liberazione dal Pakistan del 1971.
La stragrande maggioranza di studenti e laureati la considera un vero e proprio sopruso, ovvero come un trucco escogitato per favorire i militanti della “Awami League”, il partito dell’attuale premier.
Ne viene chiesta l’abolizione definitiva, ma Hasina e il suo partito rifiutano decisamente di farlo. Al contrario, la premier ha schierato polizia ed esercito per reprimere le manifestazioni. In un primo tempo usando proiettili di gomma, e poi autorizzando soldati e poliziotti a sparare ai manifestanti con proiettili veri.
Il risultato è ovviamente pesante. Finora si contano circa 100 morti e più di mille feriti. Il governo, tuttavia, non sembra intenzionato a cedere. Alcuni attivisti della “Awami League” hanno cominciato ad attaccare i manifestanti offrendo così un fattivo supporto ad esercito e polizia.
La capitale Dacca è nel caos, con scontri continui e negozi e automobili dati alle fiamme. Internet è sospeso e il Paese risulta isolato. Il maggiore partito di opposizione, il “Bangladesh Nationalist Party” (BNP) ha cercato di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, ma con scarsi risultati.
Forse perché nel mondo ci sono troppe guerre in corso e quello del Bangladesh appare un episodio minore. Ad andarci di mezzo sono come sempre i civili, che trovano mezzi di sostentamento nelle aziende occidentali (ma anche indiane e cinesi) che delocalizzano pagando stipendi da fame.