Coltivare comunità

Ai margini di un incontro bellissimo, fertile culturalmente, sulla soglia di mondi diversi, un ragazzo ha pronunciato questa frase: la radice è l’uomo. Semplice, delicata, fuori dagli schemi del dibattito mediatico, lontana dalla cultura di massa che desertifica coscienze, evoca assuefazione e annulla sovversioni possibili.

La radice è l’uomo, qui e non altrove, adesso e non più tardi.

Intanto si parlava del potere della parola, di che cosa vuol dire esercitarne il potere elaborando frasi, concetti, idee. Parlando agli altri, ascoltando gli altri. Mantenendo memoria, trasmettendola, raccontando il passato nel presente e narrando la realtà, ciò che abbiamo davanti agli occhi, tutto ciò che accade, con le nostre parole, con la nostra storia, con la nostra capacità di non perdersi in un viavai frenetico di fatti, suoni, rumori, incantesimi che tendono a raccontarci mediaticamente chi siamo, a renderci conformi a ciò che dobbiamo essere, a chiuderci nella gabbia scintillante e opulenta dell’obbedienza come dogma culturale e politico.

I luoghi che nutrono memorie coltivano comunità.

Le memorie si nutrono con il presente che le tengono accese. La tradizione vive se viene tenuta viva nel presente e muta nella relazione con ciò che siamo. Imbalsamarla vuol dire spezzare il filo. Cancellare memoria e tradizione vuol dire essere ostaggio di un presente continuo che non mette radici, non serve a generare cultura ed etica, ma a delineare il basso orizzonte utile a qualunque colonizzazione economica, culturale e politica.

Coltivare comunità è un concetto magnifico. Cultura viene dal verbo latino “colere” che vuol dire coltivare, ma anche aver cura, abitare civilmente. Così coltivare comunità vuol dire aver cura, abitare in un modo non passivo, fare cultura vivendo sui territori non come epigoni mediatici di decisioni prese da altri.

E la frase “la radice è l’uomo” è davvero bella. Dice il barbiere anarchico, sudato lettore, che è del giovane Karl Marx, e sembra suggerire la necessità di dare nuova forza alle emozioni, all’immaginazione, ai sentimenti. Pensando alla società in cui il narcisismo e l’individualismo sfrenato agiscono per l’estinzione della comunità solidale in un ripiegamento delle persone in se stesse.

Una mutazione antropologica che ha visto un cambio di paradigma evidente: il popolo si trasforma in massa, la democrazia in società di massa e così la sua cultura, che spezza il legame con la dolcezza del “colere” latino per tararsi unicamente sulle esigenze del mercato.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro