Hollywood politica americana, quando non si spara alla Far West. Con occhi attenti a cosa possa nascondere lo spettacolo con scivolamenti verso la sceneggiata. Xi Jinping tra i molti altri osservatori criticie e preoccupati, a cui l’annuncio di James D. Vance, scelto da Trump come vicepresidente, non deve avere fatto grande piacere. Ieri, la stampa cinese era zeppa di analisi, diagnosi e prognosi politiche (tutte negative) sul significato di una squadra presidenziale che, visti i soggetti e i programmi, non promette nulla di buono per il colosso asiatico, se dovesse arrivare alla Casa Bianca. Con un titolo che spiega tutto, il South China Morning Post di Hong Kong scrive: «Quale posizione avrebbe Vance, il compagno di corsa di Trump, sulle grandi questioni cinesi?».
Dando subito una risposta che chiarisce come la vedono da quelle parti: «Vance è un falco sulla Cina, favorevole a distogliere l’attenzione americana dall’Ucraina per riportarla sul Pacifico»
Insomma, l’America First, il tanto reclamizzato slogan neoisolazionista «contro tutti i conflitti», gridato a da Trump, è un trucco. Vuole forse chiudere una guerra in Europa, per aprirne subito un’altra (ben più estesa) in tutta l’Asia? La sua ‘diplomazia’ è fatta di pugni sul tavolo. Ma anche di mercanteggiamenti basati su concessioni reciproche, dove però diritto ed equità c’entrano poco. Vance, dicono in Cina, è un fedelissimo sostenitore della politica dei dazi doganali voluta da Trump. Che ha l’ossessione della bilancia commerciale americana in profondo rosso. La guerra economica aperta con Pechino, che ha ammaccato anche mezza Europa costretta a seguire i diktat Usa, è stata poi proseguita da Biden, sia pure in modo più ‘soft’. Adesso lo ‘schieramento d’attacco’ repubblicano torna alla carica, con un programma che sembra il distillato di un proclama medievale. Vuole tassare tutto il Made in China del 60%, a parte un’imposta generale sull’import del 10% contro tutti.
Inutile addentrarsi in disquisizioni finanziarie, ma anche i neofiti capiscono che il rimbalzo sui prezzi sarebbe micidiale. Insomma, America First, contro il mondo. Vittime in prima linea? I consumatori. La «Guerra fredda dei supermercati» dove, anziché essere colpiti da bombe a grappolo si resta scioccati per colpa dei cartellini dei prezzi. E chi trionferebbe? Il Made in Usa, è ovvio, che avrebbe davanti a sé immense praterie per cavalcare l’onda oligopolistica regalatagli da Trump. Anche se, secondo il Peterson Institute, se il programma protezionistico del candidato repubblicano fosse applicato, la famiglia media americana subirebbe una perdita annua di circa 1700 dollari. Ma su Taiwan, il possibile vice Vance è per l’approccio ‘duro’. Wu Xinbo (Fudan University) sostiene che il candidato vicepresidente «rafforzerebbe le restrizioni tecnologiche e la politica di opposizione alla Cina. Inoltre, presterebbe grande attenzione allo status di Taiwan, perché ritiene che sia fondamentale per l’economia Usa, soprattutto per l’export di semiconduttori».
I cinesi però non danno a Vance troppa importanza. Le scelte che conteranno maggiormente saranno, innanzitutto, quella del Segretario di Stato e poi quella del capo del Pentagono. Gli specialisti della diplomazia di Xi Jinping, però, guardano anche oltre e si spingono a ipotizzare il ruolo che potrebbero avere personaggi significativi, in posizioni ‘sensibili’. Una di queste è il Consiglio per la Sicurezza nazionale, una specie di ‘governo ombra’ della politica estera americana. Il suo capo, spesso, ha un grado strategico capace di rivaleggiare o addirittura entrare in conflitto con lo stesso Segretario di Stato. I cinesi (rumors) pensano che il prescelto possa essere un altro ‘duro’: cioè l’ex assistente del Segretario alla Difesa, Elbridge Colby. È uno dei favoriti di Trump, che il mese scorso, al Council on Foreign Relations, ha dichiarato che «c’è bisogno di mostrare un duro potere militare alla Cina per dissuaderla dall’attaccare Taiwan».
Fa il paio con quanto ha scritto il South Chima Morning Post su Vance: «È stato un importante oppositore degli aiuti americani all’Ucraina e ha sollecitato la fine della guerra per consentire all’America di concentrarsi sulla Cina». No, sicuramente a Pechino non sono proprio contenti. Né di Trump e manco di Vance.