Dopo l’avvio di una stretta collaborazione militare che ha portato all’espulsione della maggior parte delle truppe occidentali presenti nel Sahel e all’avvio di una strategia comune contro l’insorgenza jihadista, i tre paesi ora accelerano anche sulla cooperazione sul fronte economico, sanitario, dell’istruzione e delle infrastrutture, sottolinea ‘Pagine Esteri’. «Nei giorni scorsi, i tre paesi hanno annunciato la creazione della ’Confederazione degli Stati del Sahel’, evoluzione della precedente ‘Alleanza del Sahel’ formalizzata a settembre», precisa Marco Santopadre.
Riuniti a Niamey, capitale del Niger, i capi dei tre governi nati da diversi e successivi golpe anti coloniali, hanno formalizzato la creazione di una ‘Banca di investimento comune’ e di un ‘Fondo di stabilizzazione’, già annunciati a novembre. Assimi Goita, Ibrahim Traoré (Burkina Faso) e Abdourahamane Tiani (Niger) hanno poi deciso di creare una «Forza Unificata del Sahel», per rafforzare la lotta contro i ribelli islamisti. A guidare la neonata Confederazione sarà il ‘presidente ‘di transizione’ del Mali, colonnello Assimi Goita, nominato presidente di turno dell’organizzazione con un mandato di un anno.
I tre paesi continuano lavorare sugli aspetti tecnici per arrivare ad abbandonare il ‘Franco CFA’ (nel 1945, CFA era l’acronimo di ‘Colonie Francesi d’Africa’; successivamente, divenne acronimo di ‘Comunità Finanziaria Africana’), con l’intenzione di adottare una moneta comune ai tre paesi. Infine, i capi delle tre giunte militari hanno incaricato i ministri competenti di elaborare urgentemente tutte le procedure tecnico diplomatiche per l’uscita dei tre Paesi dei Sahel dalla Cedeao (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale), l’accordo economico stipulato da dodici Stati dell’Africa occidentale nel 1975, e tuttora in vigore, ma destinato a scadere il prossimo anno.
La creazione della “Confederazione del Sahel” ha ovviamente allarmato l’organismo regionale, che ha tenuto un vertice straordinario ad Abuja (Nigeria) il 7 luglio. Con la fuoriuscita di Mali, Niger e Burkina Faso, infatti, la Cedeao perderebbe più del 12% del Pil e il 16% della popolazione, oltre che tre paesi ricchi di risorse minerarie e strategici sul piano geopolitico. Mentre i cinque Paesi che restano della ‘Cedeao’ hanno progettato di adottare una moneta comune a partire dal 2025; la moneta dovrebbe chiamarsi Eco. L’unione monetaria verrà detta ‘Zona monetaria dell’Africa occidentale’ (ZMAO). E anche questa nascita, prevista a partire dal 2025.
In caso di ritiro dei tre della ‘Confederazione del Sahel’, ha detto il presidente della Cedeao, l’organismo regionale in vita ormai da mezzo secolo, Omar tre paesi del Sahel potrebbero perdere finanziamenti per più di 500 milioni di dollari. Per Touray, rischio di disintegrazione della Cedeao che interromperebbe la libertà di movimento per i suoi 400 milioni di abitanti e peggiorerebbe la sua sicurezza. Il rischio di una disintegrazione paventato anche dal presidente del Senegal Bassirou Faye, che sostiene la necessità di liberare l’organismo «dagli stereotipi che la dipingono come un’organizzazione ‘soggetta alle influenze di poteri esterni’». Sentori di colonialismo, con Faye che ha anche criticato le sanzioni imposte dalla Cedeao ai tre paesi ‘ribelli’ dopo i rispettivi colpi di stato.
Intanto la giunta militare al potere in Burkina Faso ha alzato i toni nei confronti di Costa d’Avorio e Benin, accusati di essere strumenti dell’ingerenza di Parigi nella regione. «Non abbiamo nulla contro il popolo ivoriano. Ma abbiamo qualcosa contro chi governa la Costa d’Avorio. Esiste un centro operativo ad Abidjan per destabilizzare il nostro Paese» ha dichiarato il leader della giunta militare, che accusa il Benin di ospitare due installazioni militari francesi segrete, a suo dire utilizzate per addestrare terroristi contro il Burkina Faso. La Costa d’Avorio è ancora saldamente nell’orbita politica, economica e militare di Parigi. Il Benin ha un conflitto aperto anche con il Niger dopo che questo ha bloccato il trasporto di petrolio da un oleodotto cinese verso il porto di Cotonou.
Traoré, il capo della giunta del Burkina ha annunciato di voler rimanere al potere nei prossimi cinque anni, partendo da subito con la nazionalizzazione delle risorse minerarie – soprattutto di oro – e il blocco dei permessi di estrazione finora concessi a multinazionali straniere. A novembre la giunta militare burkinabé ha avviato la costruzione di una raffineria d’oro, mentre a gennaio ha inaugurato il primo impianto per la lavorazione dei residui minerari (principalmente carbone fino, scorie, concentrati acidi e ceneri), per avere maggior controllo sul loro trattamento e smettere di esportarli. La fabbrica è di proprietà di una società privata locale, la Golden Hand, di cui lo stato controlla il 40%.
D’ora in poi gli unici attori stranieri che saranno autorizzati a sfruttare il settore minerario del paese, ha detto Traoré, saranno «i sinceri partner che accettano di sostenerci nella lotta contro l’insorgenza jihadista, spesso legata ad Al Qaeda o a Daesh». Un implicito richiamo alle relazioni commerciali avviate con Mosca in cambio di un sostegno militare che però finora non ha sortito gli effetti sperati.