L’autoaddestramento dello schiavo che si sente libero

Domenica scorsa ho parlato della libertà assai formale delle mosche ingabbiate nelle scatole di vetro. Una libertà elegante, trasparente, con vista sul cielo. Basta non toccare le pareti (ahimè si sporcano). È come fare a non toccarle? Per questo è attivo un addestramento straordinariamente efficace, che potremmo definire “uso pratico degli strumenti messi a disposizione dal mercato per costruire traiettorie esatte, all’interno di format di modernità scintillanti e spettacolari”.

Un addestramento spettacolare, che sarebbe giusto chiamare autoaddestramento, agendo sulla capacità di mettersi in evidenza, trasformando in merito l’assoluta abnegazione nell’obbedire a format. (Non servono più gli schiavisti in questa epoca, gli schiavi fanno a gara per dimostrare di essere all’altezza).

Non smettono mai di sorprenderci questi suprematisti.

A Milano ho visto buttare giù palazzi per sostituire case e negozi con edifici tutti vetri e acciaio, talvolta arredati con alberi e piante posticce che bene si integrano con i meccanismi di plastificazione dell’esistenza (ma ecologica). Luoghi adatti ad ospitare migliaia di giovani che devono studiare velocemente il modo per adattarsi perfettamente allo schema, per essere creativi per mega aziende innovative, adeguando la propria libertà a quelle pareti che implicano spazio infinito, se impari a non vedere il confine fisico del vetro.

Per farlo ognuno rinuncia a un po’ di sé. All’origine, alla memoria, alla libertà. E funziona. Perché si tratta di un sistema che privilegia le conoscenze utili, perché di questo si tratta: quelle capaci di far funzionare il sistema così come è. Farlo viaggiare sul piano inclinato della storia, senza interferenze, senza dubbi. Alcuni sono bravi e percorrono il conformismo come fosse un viale alberato di successo. Altri meno. Alcuni per niente.

Ecco, noi che restiamo fedeli a chi perde, ai rottamati della società, ai cosiddetti ultimi, agli sconfitti di questo mondo, continuiamo a starci male. Continuiamo a vedere chi sbatte sul vetro e nel tempo si spezza; continuiamo a cogliere fragilità in chi rinuncia, in chi si perde o si sente schiacciato e non sa bene perché. Continuiamo a pensare che vadano sovvertite le condizioni perverse di controllo sociale, oggi più che mai.

Oggi, soprattutto oggi in cui viene meno la cultura della cittadinanza attiva e della reciprocità, in cui il senso di umanità lascia praterie spalancate alla ferocia sociale, alla legalità usata come arma contro chi dissente, contro chi non può o non vuole cedere alle lusinghe scintillanti dell’auto addestramento.

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