Tutta la stampa persiana, ieri ha riportato con grande evidenza i contenuti di una cordiale telefonata, tra Vladimir Putin e Pezeshkian, che diventa un segnale politico preciso: le attuali alleanze non si toccano. Anzi, vanno addirittura potenziate. E la notizia che, certamente, smonterà tutte le aspettative a Washington e Bruxelles, è di quelle che coglie tutti di sorpresa. Addirittura, il nuovo Presidente ‘riformista’ avrebbe chiesto a Putin di accelerare la firma del partenariato strategico tra Iran e Russia. Un accordo che si trascina da anni e che dovrebbe essere concluso durante la riunione dei BRICS prevista a Kazan. La firma di quell’intesa, fortemente voluta dal regime teocratico, il segnale più evidente del sostanziale allineamento in politica estera con le direttive emanate dalla Guida suprema, l’ayatollah Alì Khamenei, tra le diverse componenti interne iraniane, più numerose di quanto può apparire.
Il testo del documento ha avuto una gestazione difficile, soprattutto da parte iraniana. Il defunto Presidente Raisi si era impegnato a fondo per superare ‘ostacoli interni’. Si pensa che ci siano state resistenze (dei circoli nazionalisti?) sulla presunta ‘svendita’ sullo sfruttamento di concessioni territoriali nel Caspio. Più in generale, la bozza di accordo ha subito critiche per la sua ‘segretezza’. In quel trattato ci sono degli impegni che non vengono esplicitati. Ma, nonostante tutto questo, Pezeshkian firmerà, perché è quello che la Guida suprema gli impone di fare in questo momento. A completare il quadro di un Iran solo formalmente più riformista, c’è anche la lettera che il nuovo Presidente ha indirizzato al leader di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ISNA, Pezeshkian ha scritto che «il sostegno ai gruppi della resistenza continuerà vigorosamente», assicurando che l’Iran si opporrà a quello che ha definito «l’illegittimo regime sionista».
Affermazione che gli esperti giudicano, di fatto, come una conferma della politica di aiuto e coordinamento non solo con gli sciiti libanesi, ma anche con tutto il resto della galassia islamica, che opera tra Siria, Iran e Yemen.
Pezeshkian, nel suo messaggio a Nasrallah, chiarisce che «tale sostegno è radicato nei principi fondamentali della Repubblica islamica e nelle linee politiche stabilite dalla Guida suprema». E qui occorre chiarire un dato fondamentale: l’impegno del nuovo Presidente, in campagna elettorale, non è mai stato quello di sovvertire le alleanze. Pezeshkian ha invece promesso di cercare di riannodare il dialogo con gli Stati Uniti (e di converso con l’Occidente) per quanto riguarda il Trattato sul nucleare. Un accordo che era stato faticosamente raggiunto grazia a Obama, per poi essere ridotto in mille pezzi, senza alcun senso logico, da un Trump sconclusionato. Certo, la spinta al dialogo di Pezeshkian non è solo ‘etica’. L’economia è praticamente al collasso, la moneta nazionale (il rial) vale carta straccia e la popolazione è stanca e sfiduciata. Ma, soprattutto, irritabile. Tutti sanno che la maggior parte delle sanzioni economiche, sono state imposte dopo il rifiuto di ricontrattare il patto atomico. Una situazione di tensione con Usa-Israele, e con l’intero Occidente che si è inasprita dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Gli ayatollah sono finiti sul banco degli imputati, perché riforniscono Putin di armi. In particolare, droni e missili. Inoltre gli fanno da ‘sponda’, per alcune delle triangolazioni commerciali che servono alla Russia per aggirare le severe sanzioni alle quali è stata sottoposta a sua volta.
Pezeshkian spera di contrattare un alleggerimento dei divieti commerciali imposti a Teheran. Proprio riprendendo le trattative sul nucleare. Basterà? Probabilmente no. La notizia di ieri (Reuters) è che gli ayatollah hanno aperto altri due impianti per droni e missili vicino Teheran. Secondo fonti d’Intelligence, i vettori sono destinati agli arsenali di russi, Hezbollah e Houthi. In Iran hanno cambiato qualcosa, perché tutto restasse come prima.