
I dubbi, i sussurri, le allusioni, le mezze verità, e le vere e proprie accuse sulle sue capacità cognitive, sono diventati improvvisamente il leit motiv di una campagna elettorale disumana, quasi sanguinaria, che non fa prigionieri. La posta è alta e il Partito Democratico, che come tutte le grandi formazioni politiche vive di sondaggi, è in subbuglio. E con lui tutta la stampa liberal e progressista americana.
Il Washington Post ieri è stato feroce. In apertura, ha prima ricordato la sentenza Hur su Biden, per i documenti top secret che teneva a casa. In quell’occasione, il Presidente fu assolto perché ‘troppo anziano’. Biden si offese. Ma nella conferenza stampa di replica sbagliò tutto, scambiando l’Egitto per il Messico e dicendo di avere visto, come Presidente, due defunti: il Cancelliere Kohl e il francese Mitterrand. Insomma, dice il Washington Post ai suoi consiglieri: perché non ve ne siete accorti prima?
L’austero Economist, sempre graffiante, pubblica invece una copertina che parla da sola: un cartello per invalidi, con lo stemma della Casa Bianca.
Il New York Times, che già da un pezzo esorta l’anziano Presidente a farsi da parte, torna sulla questione, finendo per valutare come perdente la sua battaglia di retroguardia. «La resilienza ha alimentato la carriera di Biden – titola il giornale – ma anche la sfida». Spiegando senza giri di parole, «questo tratto distintivo, che dura da mezzo secolo, ora sembra una cieca resistenza di fronte a una marea montante». Una battaglia persa in partenza.
Il problema è che i vertici della piramide del partito fanno quadrato, difendendo (per ora) il percorso della sua nomination. La riunione dei Governatori liberal, convocata per dare un minimo di approvazione alla ricandidatura di Biden, ha dato disco verde. Anche perché la sostituzione in corsa, invocata da gran parte della stampa, non è per niente facile. Manca un candidato ‘spendibile’. Nel senso di trovare una figura capace di mettere assieme consensi, a livello nazionale, che possano sfidare quelli di Trump. Meno che mai, si dice nei corridoi che contano, questo nome potrebbe essere quello della vice Kamals Harris, giudicata una figura scialba e senza carisma, tra gli stessi democratici. Eppure la sirena già suona l’allarme anche a Capitol Hill. La minoranza dem della Camera si doveva riunire ieri per discutere della nomination. Mentre al Senato è in corso ‘un’approfondita riflessione’ sullo stesso argomento, dopo i dubbi sollevati diversi esponenti.
Sul New York Times, l’analisi sul fallimento delle classi dirigenti a Washington proprio sul caso Trump. «Negli Stati Uniti, dove si eleggono leader che governano per conto del popolo, le urne sono il principale strumento di controllo su una classe dirigente indifferente, incompetente o corrotta. O, come i democratici potrebbero imparare, una classe dirigente che insiste su un candidato che gli elettori non ritengono più che possa comandare. Se chi è al potere finisce per credere di essere l’unica opzione logica, il popolo può sempre dimostrare che si sbaglia. Per una popolazione frustrata, la capacità di un outsider anti-establishment di scatenare il caos è una opportunità, piuttosto che un difetto. La scelta di un candidato del genere per una carica elevata, dovrebbe provocare un immediato esame di coscienza e una riforma radicale tra il leader altamente qualificati di governo, legge, media, affari, mondo accademico e così via. In una parola, collettivamente. Invece, la risposta al successo del signor Trump, sfortunatamente, è stata l’opposto».
Dopo averlo visto eletto una volta, di fronte alla realtà che poteva vincere di nuovo, la maggior parte delle élites ha raddoppiato gli sforzi. Coi risultati noti, stupidamente arroganti: «Non abbiamo fallito, siamo stati solo delusi dal popolo americano». In alcuni racconti, «gli americani non apprezzano la loro prosperità». In altri «sono incapaci di giudizi informati, il che li rende suscettibili a demagogia e manipolazione straniera». ‘Straniera’ come quella di Trump? O troppo americana? O semplicemente troppo razzisti. Senza considerare che i sondaggi suggeriscono che «la maggior parte dei sostenitori del signor Trump sono donne e minoranze, o che i sondaggi mostrano che sta attirando un sostegno molto maggiore tra i neri e gli ispanici, rispetto ai precedenti leader repubblicani».
Insomma, dice il NYTimes, tra il frustrato e il disperato, se non si capisce che sbagliano i politici e non gli elettori che scelgono, allora non ci sarà niente da fare. E Trump tornerà alla Casa Bianca in carrozza.