La dipendenza dallo stato di necessità

Come mosche chiuse in una scatola di vetro voliamo, siamo liberi di farlo, e ci sentiamo forti di questa libertà soltanto se impariamo a non sbattere le ali contro il vetro. Facendo dello stato di necessità una soluzione.

La dipendenza come dogma

Già, mi chiedo, come siamo arrivati al punto di accettare la dipendenza dallo stato di necessità come dogma? Da dove nasce questo bisogno di addestramento così totale, talmente obbediente e volontario da sembrare più efficace di qualunque catena.
Mosche eleganti che volano nella gabbia di vetro con destrezza, senza toccare le pareti, senza mettere in dubbio i principi di questa strana libertà in cui ogni avanzata suggestiva e oscena di modelli conformisti appare come necessario progresso.

Trappole che nessuno vede

Trappole, fatte da pareti di vetro che nessuno vede e nessuno sfiora o mette in dubbio. Trappole in cui, come in un perfido gioco di ruolo, le persone fanno a gara ad infilarsi, per non essere da meno, per far vedere di aver capito, di saper usare tutte le armi della modernità.
Ma che fanno star male nel profondo anche chi non si rende conto, anche chi fa dell’accettazione e dell’indifferenza un vanto.

Cccp, fedeli alla linea

Risuona nella testa un vecchio testo, preveggente, dei Cccp, Curami. Una richiesta disperata, totale, di tenerezza, di conforto contro la disumanizzazione che procede a lunghe falcate. E non ce ne accorgiamo. Curami, prendimi in cura da te – urla in testo. E poi: verranno al contrattacco con elmi e armi nuove, verranno al contrattacco, ma intanto adesso curami.

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