Sul piano interno la piazza in subbuglio sancisce il fallimento del programma del «Kenya Kwanza» (prima il Kenya) del presidente William Samoei Ruto, spiega Limes. «Mentre a livello geopolitico le manifestazioni rimettono in discussione le scelte di Stati Uniti e alleati europei nel loro rapporto con Nairobi», avverte Domenico Galliani. Un debito col mondo occidentale che crea altro debito. Supporto finanziario di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, che hanno chiesto una forte riduzione della spesa pubblica a garanzia dei propri prestiti – cioè l’austerità.
La polizia keniota ha sparato più volte contro i manifestanti. Gli attivisti denunciano il rapimento di alcuni ‘influencer’ da parte dall’intelligence. La risposta violenta alle manifestazioni ha portato all’assalto al parlamento del 25 giugno. Il seguito è stato il caos istituzionale. A due anni dal suo insediamento, l’amministrazione Ruto ha goduto tanto di un’ascesa rapida tra gli alleati occidentali quanto di una caduta altrettanto rapida agli occhi dei kenioti.
In un primo momento il presidente ha cercato di proporre le proteste all’estero come un ‘segno di maturità democratica del Kenya’. Poi ha bollato i manifestanti come criminali ricchi viziati e deciso ‘repressione implacabile’. Infine, su pressione di Stati Uniti e altri alleati, Ruto ha cancellato la proposta di ‘finanziaria’ e aperto al dialogo con i suoi contestatori, dopo aver schierato l’Esercito a difesa di tutte le sedi istituzionali della capitale. Ma adesso i manifestanti, galvanizzati dal successo delle proteste, chiedono adesso le dimissioni del presidente.
La storia di William Ruto, ex venditore di polli di Eldoret diventato presidente, riportata dalla stampa internazionale. «Liberale a tratti liberista, evangelico convinto, anticinese per certi versi sinofobico». Modello ideale per il neo populismo conservativo occidentale. L’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca e il lancio della nuova strategia per l’Africa hanno dato risalto alle relazioni con Nairobi, aiutato dalla crisi nei rapporti tra Stati Uniti ed Etiopia (altro tradizionale alleato americano nella regione) e la penetrazione della Russia nel Corno d’Africa.
Dare avere. Gli Stati Uniti chiedono al Kenya di inviare i propri poliziotti a fronteggiate la guerra tra gang che imperversa ad Haiti. In cambio, il governo di Nairobi ha ottenuto liquidità monetaria: dai prestiti Fmi agli investimenti delle big tech americane, passando per il nuovo accordo commerciale con l’Unione Europea. Tutti agli ordini. A livello geopolitico, minimizzare i ripetuti fallimenti. Sotto la presidenza Ruto i rapporti con i vicini sono tutti peggiorati. E il progetto di usare la ‘Comunità dell’Africa orientale’ (Eac) come strumento di influenza americana a livello regionale è naufragato.
Le necessità keniote sul piano finanziario s’intrecciano con le incognite geopolitiche. Sotto la guida di Ruto, il paese resta saldamente ancorato all’orbita d’influenza americana, sottolinea Limes. Il presidente ha visitato gli Stati Uniti appena un mese fa riuscendo a strappare un’altra tranche di aiuti e investimenti. Ma la possibilità di un ritorno di Trump alla Casa Bianca (poco interessato all’Africa) getta qualche dubbio sulla rilevanza di questa alleanza in futuro. Mentre l’Europa avanzerà in ordine sparso come al solito aspettando di vedere chi uscirà vincitore nello scontro tra Ruto e la piazza per poi salire sul carro del vincitore, l’amara considerazione di Galliani.
«Nell’abbracciare acriticamente William Ruto e le sue politiche, America e alleati europei non hanno visto (o hanno volutamente ignorato) tutte le crepe nel rapporto tra il presidente e il suo popolo. Chiunque avesse una conoscenza anche superficiale del Kenya degli ultimi vent’anni sapeva perfettamente che il “Kenya Kwanza” non avrebbe funzionato, ma questa ovvietà non è passata nelle bolle autoreferenziali al di qua e al di là dell’Atlantico. La lezione dei golpe saheliani non è stata appresa. Le barricate del Kenya non saranno smontate in tempi brevi».