
La Guida suprema Khamenei al seggio
Pezeshkian e Jalili in testa: questi i primi risultati dello spoglio delle schede dopo la chiamata al voto per eleggere il prossimo presidente dell’Iran. Alle sette del mattino, ora italiana, hanno rispettivamente il 42,6% e il 38,8% delle preferenze. Riformista il primo, con 5.354.000 di voti, fondamentalista il secondo con 4.875.269, i dati sono stati resi noti dal portavoce del Comando elettorale statale, Mohsen Eslami, citato dall’Irna.
Secondo l’agenzia di stampa Tasnim, vicina alle Guardie Rivoluzionarie, finora il 40% degli aventi diritto al voto ha partecipato alle elezioni. Il risultato sembrerebbe portare verso il ballottaggio tra i due. I dati definitivi sull’affluenza saranno una componente cruciale per stabilire se l’elettorato iraniano sostiene la teocrazia sciita dopo anni di turbolenze economiche e proteste. ù
Masoud Pezeshkian, possibile prossimo presidente iraniano
La speciale Commissione elettorale governativa aveva prorogato di diverse ore, per un paio di volte, l’orario di chiusura dei seggi in attesa di votanti. L’astensionismo preoccupa gli ayatollah. Elezioni impreviste. L’establishment religioso-governativo ha dovuto organizzare in tutta fretta la successione di Ebrahin Raisi, morto in un incidente aereo. E dopo una spietata preselezione fatta dal ‘Consiglio dei Guardiani’, sono stati ammessi alla competizione solo sei candidati su 80 richieste. Obiettivo: aprire un’autostrada a un vincitore ‘intransigente’, che continui a prendere ordini dalla Guida suprema Alì Khamenei, facendo da ufficiale di collegamento tra il potere religioso e la sfera istituzionale. E che, soprattutto, condivida le scelte strategiche operate dal leader degli ayatollah, in tema di politica estera e sicurezza nazionale.
In questo solco si collocano Jaeed Jalili, ex negoziatore sul nucleare e nemico giurato dell’Occidente, e Mohammed Bagher Qalibaf (attuale speaker del Parlamento) ed ex comandante del potente corpo delle Guardie rivoluzionarie. Altri due esponenti vicini al regime, ‘sottoposti a suggerimenti’, due giorni fa hanno ritirato la loro candidatura, suggellando così un ‘patto di desistenza’ anticipato col blocco conservatore. I voti di Alireza Zakani (sindaco di Teheran) e di Ghazizadeh Hashemi (vice Presidente), dovrebbero essere convogliati sui due sfidanti più forti. Tutto questo per tarpare le ali al solo deputato moderatamente riformista Masoud Pezeshkian, che non ha subito il taglio preventivo dei Guardiani.
Come mai è stato ammesso un concorrente riformista? Gli ayatollah avevano bisogno di un alibi, per dimostrare (a modo loro) che le elezioni sono ‘libere’. Nei fatti, volevano sfruttare questa presenza, per portare alle urne anche una certa quota di moderati. Convinti in ogni caso di batterli, ma pensando che fossero utili per alzare la soglia della partecipazione. Un valore che, come abbiamo detto all’inizio, deve essere considerato la vera cartina di tornasole di queste elezioni. D’altro canto, sostiene Sanam Vakil, del prestigioso think tank ‘Chatham House’, Pezeshkian è un candidato riformista fino a un certo punto. È vero che si è opposto ai metodi brutali della cosiddetta Polizia morale, ma su alcune questioni di fondo rimane abbastanza allineato con le posizioni ufficiale del regime.
Pezeshkian rappresenta l’ala ‘dialogante’. Non a caso è sostenuto da personaggi del calibro di Hassan Rohuani (l’ex Presidente), del ayatollah Mohammed Khatami e dall’ex Ministro degli Esteri, Muhammad Javad Zarif. Quest’ultimo, che ha studiato negli Stati Uniti, è stato l’artefice del primo negoziato sul nucleare, concluso all’epoca di Barack Obama. Pezeshkian viene visto come il rappresentante della corrente ‘aperturista’ verso l’Occidente. Cioè di quel blocco sociale, politico e religioso che, pur con differenti accenti, propone la ripresa di qualche forma di dialogo con l’America e con l’Europa.
Questo, ovviamente, con un obiettivo principale: togliere il Paese dall’isolamento internazionale, senza rinnegare le relazioni col blocco sino-russo, cercando di ottenere progressivi “sconti” sulle sanzioni economiche. Che, nei fatti, stanno progressivamente soffocando l’Iran, in una stretta mortale.
La legge elettorale prevede che, se un candidato non raggiunge la maggioranza assoluta dei voti (50% +1), si vada al ballottaggio. Ed è qui che scatta tutta la frenesia di queste ore. Gli ayatollah al vertice del potere e le Guardie rivoluzionarie hanno sbagliato i conti? Sì, perché, se Pezeshkian (come pare) dovesse arrivare al ballottaggio, improvvisamente (e inopinatamente) si potrebbero aprire scenari non programmati, nei santi palazzi di Qom, prima ancora che di Teheran.
Il regime vuole superare lo scoglio di queste elezioni, dando l’impressione che le cose possano cambiare. Purché tutto resti come prima. Solo che questa strategia fa acqua da tutte le parti, perché i primi scossoni, che diventeranno presto violente fratture, si verificano già all’interno di quei gruppi che stanno subito sotto il vertice della piramide. Cioè, sotto Khamenei, una Guida suprema ormai al capolinea (ha quasi 86 anni), che lascerà un posto di potere assoluto, per la cui successione si respira già un’aria da castello di Macbeth.