E se vi sfugge qualche battuta, osservate con attenzione le espressioni sovente perse del presidente uscente.
Il quesito meglio espresso sulla stampa italiana. «I democratici l’avevano vista arrivare, la débâcle di Joe Biden, ma non nelle dimensioni catastrofiche in cui è stata crudamente, crudelmente, messa in scena per novanta minuti sugli schermi della Cnn giovedì notte. E adesso alla botta politica s’aggiunge la massima confusione sul che fare», il severo Guido Moltedo sul Manifesto, che non è certo il più cattivo.
Molto peggio negli Stati Uniti, New York Times, blog e tv progressiste, Hollywood, i grandi atenei. Come ci ha raccontato già questa mattina presto un infaticabile Piero Orteca. Un’inadeguatezza tanto più plateale di fronte a uno sfidante che, non va dimenticato, ha fatto la sua fortuna pubblica come ideatore e conduttore di reality tv per una dozzina d’anni, un personaggio che si muove sul palco e sullo schermo come un pesce nell’acqua.
L’idea di fare con largo anticipo un dibattito che in passato si è sempre tenuto dopo le convention doveva appunto servire a rendere plausibile, in quei termini, la sfida, la decenza contro l’indecenza, il bene contro il male, la democrazia contro la sovversione. Il dibattito presidenziale fa svanire questo disegno, e con esso ne mette in seria crisi il protagonista. Il dibattito apre ora la strada a un referendum su Biden, non su Trump, com’era negli auspici della Casa Bianca.
Non che manchino possibili candidati alternativi. Ce ne sono almeno tre, come i governatori della California, Gavin Newsom, del Michigan, Gretchen Whitmer, del Maruland, Wes Moore. Per adesso dei sogni. Il problema è che, a parte Kamala Harris, che però nessuno propone, perché troppo legata al ‘perdente’, nessuno è preparato a un’impresa così impegnativa, che si svolgerà nell’arco ormai di poche settimane. Il rischio di bruciarsi è altissimo.