Iran: candidati presidente selezionati dagli Ayatollah e la sorpresa possibile

Il nuovo Presidente dell’Iran lo hanno già ‘pre-scelto’ gli ayatollah selezionando sei candidati. Si voterà venerdì prossimo, 28 giugno, ma il Consiglio dei Guardiani, ha messo le mani avanti: su 80 candidati ammessi all’esame ‘preventivo’, ne ha bocciati la bellezza di 74. Tra i respinti ci sono nomi illustri, tra cui anche quello di Mahmoud Ahmadinejad, l’ex Presidente ‘duro e puro’, esponente di spicco della corrente ‘deviazionista’. Ma non tutto è già scritto.

Un momento di emergenza nazionale

Le elezioni arrivano in un momento d’emergenza, col Paese sulla linea del fuoco della crisi mediorientale e, soprattutto, colpito da una recessione economica devastante. Si sarebbe dovuto votare, con tutta calma, il prossimo anno. Ma la tragica morte del Presidente Ebrhaim Raisi, in un incidente elicotteristico durante una visita di Stato in Azerbaijan, ha spiazzato il regime. L’assetto del potere teocratico a Teheran è meno stabile di quanto si possa pensare. E già infuriano le lotte interne, tra i vari clan legati ai religiosi ‘candidati’ alla successione di Khamenei, che ha 86 anni e detiene un’autorità assoluta.

Presidente solo numero 2

Il Presidente della Repubblica islamica serve come una sorta di cinghia di trasmissione, tra la sfera religiosa e quella civile. Se le cose vanno bene, il merito principale è della ‘ispirazione’ che arriva dalla Guida suprema. Se vanno male, il potere esecutivo diventa un comodo paracadute di responsabilità.

Il ‘non voto’ del dissenso

In questa fase che potremmo definire ‘di transizione’, la figura del Presidente acquista un valore maggiore che in passato. Ma, la tagliola della selezione preventiva, unita alla crescente disillusione popolare, potrebbe abbassare ancora il tasso di partecipazione al voto, sotto il 40%. È ciò che il regime teme di più in questo momento e la propaganda governativa si sta battendo per portare la gente alle urne. Anche se, come vedremo, alla fine potrebbe esserci qualche sorpresa. L’altro ieri, in un (raro) infuocato dibattito televisivo, i sei candidati se ne sono dette di tutti i colori.

È stata una trasmissione ‘poco presidenziale’. Al centro delle furibonde polemiche, la migliore strategia per rispondere alla grave crisi economica e alle sanzioni occidentali.

Sull’orlo del crack finanziario

Masoud Pazeshkian, l’unico riformista presente, e l’ex giudice Pour-Mohammadi hanno sostenuto che il Paese è praticamente sull’orlo del collasso finanziario. E che bisogna immediatamente cambiare rotta, dal punto di vista diplomatico. Apriti cielo! Gli ‘intransigenti’ (Saeed Jalili, Alireza Zakani e Ghazizadeh Hoshemi) hanno replicato aspramente, dicendo che non se ne parla e che l’Iran deve riuscire a risollevarsi senza farsi piegare dalle sanzioni. È la stessa linea seguita negli ultimi tre anni da Khamenei e scrupolosamente applicata dal defunto Raisi. Per cui, pare di capire, il nome del prossimo Presidente dovrebbe uscire dal terzetto citato. Il sesto candidato, Bagher Ghalibaf, un conservatore attuale capo del Parlamento, viaggia più defilato.

Gli ‘intransigenti’ e il nucleare

Va anche sottolineato, che i tre ‘intransigenti’ sono stati tra i critici più feroci dell’accordo sul nucleare del 2015, che era stato firmato dal riformista Rohuani. Quando le cose sembravano essersi messe sulla strada giusta, arrivò poi Trump, che nel 2018 fece saltare tutto. Il tentativo di Rohuani di risuscitare l’accordo nel 2020 fallì, perché ormai il Parlamento iraniano era completamente caduto nelle mani dei conservatori. Da allora, la situazione economica non ha fatto che peggiorare, mentre la tensione internazionale nel Golfo Persico, alimentata dalle Guardie rivoluzionarie, è salita di conseguenza.

La filosofia geopolitica del regime

Gli ‘intransigenti’ rispecchiano l’attuale filosofia geopolitica del regime, che punta a costruire solide relazioni col blocco russo-cinese, che è pronto a continuare a pagare il prezzo delle sanzioni imposte dall’Occidente. Certo, il Consiglio dei Guardiani non poteva eliminare tutti i candidati di impronta riformista. Sarebbe stato un esplicito invito al boicottaggio delle elezioni. Così, è stato ammesso Pezeshkian, un moderato che può richiamare una fascia consistente di popolazione al voto, facendo aumentare il tasso di partecipazione. Ma senza vincere, ovviamente.

Ma a sorpresa ‘il moderato’

Pezeshkian, però, non dovrebbe essere sottovalutato. Specie dopo che anche l’ex Ministro degli Esteri, Javad Zarif, si è unito alla sua campagna elettorale, dandogli il suo appoggio. Zarif ha studiato negli Stati Uniti ed è il negoziatore che ha concluso il primo accordo sul nucleare, all’epoca di Barack Obama.

Saputo di questa nuova alleanza, gli ‘intransigenti’ sono entrati in fibrillazione. E già si parla di un patto di ‘desistenza, per evitare che dalle urne possa uscire qualche sorpresa al primo turno. Se il candidato riformista andasse al ballottaggio, si scatenerebbe il panico nei palazzi degli ayatollah.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro