La ‘pace svizzera‘ di Kiev fatta di buoni propositi, molti dubbi e poca sostanza

Tanti buoni propositi ma poca sostanza. D’altro canto, una conferenza di pace sull’Ucraina per ‘mediare’ escludendo l’altra parte interessata, cioè la Russia, era da subito un’altra cosa di quella dichiarata. Passerella per le molte ragioni di Kiev con molte, troppe assenze e forzature, a inciampo di ‘comunicato finale’. Con Trump che già minaccia e l’Ucraina sull’Europa 

Brutto finale per una iniziativa mal pensata

‘Comunicato finale’ di ogni vertice, il ‘minimo comune multiplo’ su cui si concorda. A quello di Losanna, sono addirittura mancate le firme di Paesi del calibro di Brasile, India, Messico, Arabia Saudita, Sudafrica e Indonesia. Il ‘massimo comun divisore’, chiedendo scusa alla matematica. Se calcolate che il vertice è stato anche disertato dalla Cina, allora ci si renderà conto che è privo del sostegno esplicito di quasi metà del pianeta, in termini di popolazione. E questo, per i ‘veri architetti’ della conferenza -gli Stati Uniti-, è stato un mezzo fallimento.

New York Times in fondo pagina

Il New York Times, confinando la notizia a piè di pagina, riferisce che, «per arrivare alla pace, il documento finale suggerisce che ‘è necessario un ulteriore impegno dei rappresentanti di tutte le parti’». La parte che mancava. Una formula annacquata che il giornale definisce ‘vaga’, che sottolinea l’assenza questione più importante: «quando e come, l’Ucraina e la Russia dovrebbero cercare di negoziare la pace». Anche perché i principi ispiratori votati (integrità delle frontiere, rispetto del diritto internazionale, condanna della minaccia nucleare) sono già ‘astrattamente’ condivisi da tutti. Il problema è farli passare, poi, dalla carta delle enunciazioni, ai fatti della geopolitica.

‘Non allineati’ ma ‘non strumentalizzati’

Per allargare il consenso, si è cercato di modellare la formula del vertice, mirando a coinvolgere anche i Paesi ‘non allineati e quelli del Sud del mondo. Inserendo nell’agenda dei lavori, per esempio, le ricadute del conflitto sulle catene di approvvigionamento alimentare. Ma non c’è stato niente da fare. I ‘Brics’, i Paesi che sfidano economicamente l’Occidente, e altri attori di primo piano (come l’Arabia Saudita, il Messico, la Thailandia e gli Emirati) sono rimasti fuori dal gioco. Gli 85, tra Stati e Organizzazioni sovranazionali che hanno sottoscritto il documento, invece, nei fatti hanno solo scelto di sostenere delle linee-guida, una sorta di ‘vademecum strategico’, più che diplomatico.

Condizioni ‘non negoziabili’ di ‘non trattativa’

Le trattative dovrebbero essere fatte sulla base di alcune condizioni che, per Zelensky, sono “non negoziabili”. Come quella dell’assoluta integrità territoriale ucraina (compresa la Crimea) o della sua rinuncia ad aderire alla Nato (di cui, però, non si è parlato). Pregiudiziali che Vladimir Putin rifiuta già in partenza. Anzi, proprio qualche giorno fa, il leader del Cremlino, sfruttando il vento favorevole sul campo di battaglia, ha addirittura inasprito le sue pretese. Quindi? Qual è stato il vero obiettivo politico della conferenza svizzera? Può sembrare paradossale, ma a leggere i le procedure, i passaggi che hanno portato al comunicato finale, sembra che lo scopo sia stato quello di certificare l’esistenza di una guerra che continuerà indefinitamente. «Di anno in anno», come ha sostenuto, quasi con disinvoltura, Zelensky.

Credibiltà Usa dopo, Vietnam, Iraq, Afghanistan?

Certo, per il Dipartimento di Stato Usa, dare il via libera all’organizzazione del meeting, per poi ritrovarsi con alcuni colossi internazionali di traverso, ha avuto un prezzo. Che è stato pagato, perché bisognava farlo. Occorreva mandare un segnale chiaro agli alleati: in Ucraina, non finirà come nel Vietnam. O in Afghanistan e in Irak. Tutte crisi dove gli americani hanno aperto guerre devastanti, coinvolto Paesi amici, e infine si sono tirati indietro quando ne hanno avuto abbastanza. Lasciando tutti col cerino in mano. Ma questa assicurazione, di impegno Usa, la sta dando ora Biden. Il problema è che, a gennaio, potrebbe arrivare un nuovo inquilino alla Casa Bianca, che non la pensa come l’attuale Presidente.

La soluzione promessa da Trump

Mentre a Burgenstock si chiudevano i lavori della conferenza, negli Stati Uniti Donald Trump usciva fuori al naturale, mandando un ‘bollettino ai naviganti’ che annuncia tempesta. Con la sua solita ironia, non proprio raffinata, il candidato repubblicano alla Presidenza ha definito Volodymyr Zelensky, ‘il miglior venditore del mondo’. «Ogni volta che arriva negli Stati Uniti – ha detto Trump – riesce ad andarsene con 60 miliardi di dollari. E poi torna per altri 60 miliardi. Se sarò eletto, tutto questo finirà». Domanda. E chi pagherà per la ‘vittoria’ in Ucraina? Risposta (logica): l’Europa. Dato che diventerà un affare che riguarderà, principalmente, il Vecchio continente. Questo spiega perché, in molti, abbiano fatto pressione affinché si organizzi (di corsa) un’altra conferenza plenaria di pace, con Biden. Prima delle elezioni di novembre, temendo che dopo possa essere troppo tardi.

Trattative segrete e sempre lo scoglio Nato

Ad ingigantire le perplessità sulla comparsata diplomatica svoltasi in Svizzera, proprio l’altro ieri è arrivato un report del New York Times, che rivela alcuni documenti che erano stati secretati. Si tratta dei resoconti relativi alle trattative di pace, tra ucraini e russi, avviati nelle prime settimane dopo l’invasione. Ebbene, è sorprendente scoprire come le due parti siano state vicine a firmare un compromesso, che avrebbe potuto, facilmente, trasformarsi in un trattato di pace. A quanto pare, si stava cercando di ‘aggiustare’ la questione territoriale con un escamotage: ‘congelamento’ dello status di occupazione della Crimea, ma senza riconoscimento giuridico. Per il Donbass, autonomia, senza cessione della sovranità alla Russia. C’erano poi tutta una serie di richieste accessorie da parte di Putin (sull’uso della lingua, per esempio) francamente discutibili.

Neutralità ucraina

Ma il vero scoglio appariva (e appare ancora oggi) quello relativo alla ‘neutralità’ (ucraina) che si ricollega alla sicurezza nazionale (russa) e agli accordi sottoscritti all’atto della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Oggi è cronaca. Quando domani si scriverà la storia, forse tutti i documenti desecretati ci chiariranno alcuni lati ancora oscuri di questo passaggio. Che è la chiave per comprendere le origini della devastante crisi contemporanea.

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