Gantz, nel gabinetto di guerra dopo il 7 ottobre, ha sollecitato Netanyahu per mesi a presentare il suo piano per il «giorno dopo. Ma il primo ministro, che ha un interesse personale e politico a prolungare la guerra -è l’accusa esplicita-, ha solo insistito su ‘cosa non vuole’. Due negazioni per Gaza: No ad un ‘Hamastan’, ma anche ad un ‘Fatahstan’ gestito dall’Autorità Palestinese. Ma oltre la guerra cosa? Salvo non immaginare lo sterminio di più di due milioni di disperati palestinesi.
Netanyahu vuole un po’ di guerra sino allo sperato arrivo Usa di Trump. Ma Gantz (e l’opposizione) non ha un piano alternativo credibile. La sua proposta, «sostituire Hamas con una ‘governance civile internazionale’ con alcuni elementi palestinesi, pur mantenendo Israele il controllo generale della sicurezza è così inverosimile che -definizione israeliana di ‘+972 Local Call’- «il suo significato pratico è quello di continuare la guerra indefinitamente».
E la proposta alternativa del ministro della Difesa Galant è essenzialmente la stessa di Gantz: «Istituire un governo gestito da ‘entità palestinesi’ non appartenenti a Hamas con il sostegno internazionale», cosa che nessun interlocutore palestinese, arabo o internazionale accetterebbe. Impotenti loro e beffato mezzo mondo con la guerra che continua. Col Libano di riserva per ogni eventuale pausa imposta su Gaza.
Perché la destra israeliana vede le proposte «fondamentalmente incoerenti di Gantz e Gallant come una minaccia esistenziale? Ciò che Gantz e Gallant implicitamente riconoscono (e che Netanyahu e alleati si rifiutano di ammettere), è che «la pluridecennale ‘politica di separazione’ di Israele, dopo gli attacchi del 7 ottobre, è crollata». Assieme all’illusione che la Striscia di Gaza sia separabile dalla Cisgiordania per qualsiasi futura soluzione politica della questione palestinese
La politica di separazione della parte palestinese risale alla Prima Intifada e alla Guerra del Golfo dei primi anni ’90, quando il governo iniziò a imporre ai palestinesi un regime di permessi che limitava gli spostamenti tra la Cisgiordania e Gaza. Le restrizioni si sono intensificate durante la Seconda Intifada e sono culminate col ‘disimpegno’ di Israele da Gaza, imposto da Sharon nel 2005, e della successiva ascesa al potere di Hamas.
Ascesa di Hamas favorita, meglio ripeterlo al mondo, proprio da uno degli infiniti governi Netanyahu che aveva come priorità, di indebolire l’Autorità palestinese nella Cisgiordania lasciata agli attacchi coordinati dai coloni. Ampliare la frattura tra Gaza e la Cisgiordania incanalando i maggiori fondi dovuti al governo di Hamas nella Striscia, nella convinzione che dividere i palestinesi geograficamente e politicamente avrebbe limitato la possibilità di uno Stato palestinese indipendente.
Quando nel 2021 è stato chiesto a Yoram Ettinger, «esperto di demografia della destra israeliana» -così lo descrive il giornale-, come avrebbe affrontato il fatto che tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo c’è all’incirca lo stesso numero di ebrei e palestinesi, ha spiegato che «Gaza non è in gioco e non è rilevante… L’area contesa è la Giudea e la Samaria.
David Friedman, l’ambasciatore statunitense nominato da Donald Trump, sosteneva che dopo il ritiro da Gaza, «solo la questione della Cisgiordania è rimasta aperta». Eliminando Gaza dalla discussione, ha spiegato l’ex ambasciatore, Israele poteva mantenere una maggioranza ebraica anche se annettendo la Cisgiordania e concedesse la cittadinanza ai suoi residenti palestinesi.
Una delle ragioni dichiarate da Hamas per l’attacco del 7 ottobre era di infrangere l’illusione che Gaza fosse un’entità separata e di riportare all’attenzione del mondo il legame tra Gaza e la Cisgiordania, «e la sua centralità nella lotta palestinese nel suo complesso». E -nonostante le mostruosità dei comportamenti militari tragicamente ripagati- questo ha senza dubbio avuto successo.
Ora il mondo assiste impotente ai 2,3 milioni di abitanti di Gaza sopravvissuti, costretti in un limbo anarchico e disperato. Un ‘vacuum’ militare, un vuoto disumano e non sostenibile più a lungo, come l’esercito che opera sul campo, pur nella ferocia della repressione, è stato costretto a rilevare, provocando le ire ormai sempre più scomposte di Netanyahu.
Israele considera illegittimo il governo di Hamas che ha controllato la Striscia per 16 anni, ma non considera un’alternativa l’ANP che amministra come può parti della Cisgiordania: la stessa entità palestinese governerebbe entrambi i territori occupati e Israele costretta ad affrontare maggiori pressioni per la creazione di uno Stato palestinese.
«La destra messianico-nazionalista vuole mantenere questo limbo sperando nella cosiddetta ‘migrazione volontaria’ dei palestinesi da Gaza, che è il desiderio del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, o all’annientamento totale dei centri abitati di Gaza, che è l’obiettivo del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich». Col progetto di ulteriori prossimi insediamenti aggressivi di coloni israeliani ormai reso pubblico.
L’esercito, tuttavia, sembra stanco di questo vuoto. Per loro, promette solo combattimenti senza fine e senza obiettivi raggiungibili, l’esaurimento dei soldati e dei riservisti e un crescente confronto con gli americani, con i quali l’establishment della difesa israeliana ha un rapporto particolarmente stretto. L’invasione di Rafah non ha fatto altro che aumentare il malcontento dell’esercito.
Finché esisterà il vuoto di potere a Gaza, la destra religioso messianica potrà ottenere ciò che vuole: la guerra potrà continuare, Netanyahu potrà prolungare la sua permanenza in carica e non ci sarà alcuna possibilità reale di aprire i negoziati di pace, che anche gli americani sembrano ora desiderosi di riavviare per presidenziali incombenti.
Ma le stesse proposte di Gallant e Gantz per un governo palestinese non sono serie, e servino solo a sfidare Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir, a provocare la loro rabbia e a minare la stabilità del governo. Anche loro ‘senza un dopo’ per la questione palestinese che non è solo Gaza.
Con due sole possibilità realistiche: Gaza parte di un’unica entità politica palestinese, o guerra permanente, che la destra messianica spera si concluda con l’espulsione o l’annientamento dei palestinesi, ma che più probabilmente si concluderà come la ‘Prima guerra del Libano’: un ritiro di Israele sotto una pressione militare sostenuta e il radicamento di una forte guerriglia al confine di Israele.